Sono rimaste Sanremo e Roubaix per poterci godere ancora Tadej Pogacar

La vittoria del quinto Giro di Lombardia consecutivo e il peso sempre maggiore di essere “Pogi”

Mentre pedalava davanti a tutti in quegli ultimi trentasei chilometri di solitudine delle centinaia che si è concesso anche in questa stagione, Tadej Pogacar ha trovato il modo di godersi quello che gli stava attorno. Quelle migliaia di persone che lo hanno visto pedalare verso Bergamo alta che erano lì per tutti i corridori in corsa, ma soprattutto per lui. Uomini e donne, anziani e bambini, che hanno preferito l’asfalto dove passava il Giro di Lombardia 2025 a qualsiasi altro luogo. Uomini e donne, anziani e bambini che avevano un allez, un forza, un vai per tutti quelli che pedalavano, ma uno più forte per il campione del mondo. Perché, anche se c’è chi dice o scrive che Tadej Pogacar sia diventato antipatico perché vince sempre e abbia reso le corse monotone perché troppo forte, a vedere le strade, a sentire il rumore e il vociare che genera quando passa, la realtà sembra molto diversa.

Sembra essersi creata una spaccatura tra chi le corse le racconta e chi le corse le segue e basta. Da una parte prevale la volontà di finali alternativi, dall’altra il godimento di quello che c’è.

Pogacar è ancora uno dei principali motivi che spingono un numero sempre maggiore di persone a uscire di casa per fermarsi a bordo strada a guardare il passaggio dei corridori. Perché con lui il ciclismo è tornato a essere uno sport di uomini soli che pedalano tra la folla, del tutto disinteressati alla vita collettiva del gruppo. Questo sport ha ripreso la forma e la sembianza di quello che c’è stato raccontato come il momento d’oro del ciclismo, quello delle grandi imprese, dei grandi distacchi e degli uomini soli al comando.

Tadej Pogacar al Giro di Lombardia 2025 (foto LaPresse)

Tadej Pogacar è irraggiungibile, pedala come nessuno degli appassionati che hanno trovato un posto sulla banchina pedalerà mai, è l’eccellenza assoluta di questo sport e per questo distante anni luce dalle esperienze pedalanti che possiamo provare noi miseri ciclisti della domenica. Eppure questa enorme distanza si è trasformata in una assoluta vicinanza. Vedendo lui, vedendo soprattutto i suoi avversari tentare, inutilmente, di rimanergli il più vicino possibile, abbiamo visto che le nostre solitudini ciclistiche, i nostri tentativi andati a vuoto di stare a ruota di quello che ci supera in salita, non sono poi così diversi da quelli dei professionisti: sono solo più lenti.

Con il quinto Lombardia vinto, e di fila – come nemmeno Fausto Coppi era riuscito a fare –, Tadej Pogacar ha conquistato la sua decima classica monumento (le corse di un giorno più antiche e importanti del ciclismo; ha vinto anche tre volte la Liegi-Bastogne-Liegi e due volte il Giro delle Fiandre). Gliene mancano due per fare en plein: Milano-Sanremo e Parigi-Roubaix.

Solo tre corridori nella storia del ciclismo ce l’hanno fatta: Rick van Looy, Roger de Vlaeminck ed Eddy Merckx, l’ultimo a esserci riuscito, nel 1971. Tadej Pogacar potrebbe essere il quarto, il primo non belga, il primo del Ventunesimo secolo.

Negli ultimi mesi, sentendo però dire al campione sloveno di essere stanco, di sentire sempre più il peso dei periodi lontani da casa e dal suo amore Urška Žigart, abbiamo iniziato a sentire una sensazione di fine imminente di quello a cui abbiamo assistito in questi anni, il pericolo che tutto possa concludersi ben prima di quello che pensavamo. E che la generazione di grandi corridori che nei prossimi anni potrebbe mettere in discussione lo strapotere di Tadej Pogacar, quella formata da Paul Seixas, Albert Withen Philipsen, Matthew Brennan e da Lorenzo Finn (che correrà ancora tra gli Under 23) e Jarno Widar, non possa nemmeno sfidare il futuro “vecchio” Tadej Pogacar.

Restano, ci restano, Sanremo e Roubaix a poter forse, con la loro indomabilità, allungare di un poco il tempo in gruppo di Tadej Pogacar e concederci qualche anno ancora di questa epoca di ciclismo solitario.

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