Un’adorazione tenera, e quasi imbarazzante, per Paolo Sottocorona

Sobrio, educato, chiaramente intelligente in un mondo (come quello televisivo) in cui abbondano gli sguaiati e i chiaramente poco intelligenti. Ogni mattina le sue previsioni delle 7:30 e delle 7:55, per apprezzare le piccole differenze

Cambiando casa, di recente, ho comprato un grosso televisore “di ultima generazione”, una cosa imponente, anche un po’ fuori scala rispetto alle dimensioni del mio soggiorno, e, dato che di solito la televisione non la guardo, gli amici mi hanno giustamente domandato: “Perché?”. Poi si sono ricordati. “Ah già! Paolo Sottocorona…”, con questi puntini di sospensione ironici. In effetti, con Paolo Sottocorona ho sviluppato negli anni una sindrome da fan che, scusabile in un adolescente, e persino tenera, arrivati alla mezza età diventa imbarazzante, anche perché era una sindrome che si manifestava con una specie di incontinenza verbale non solo nelle conversazioni, ma anche nella chiacchiera occasionale con persone incontrate una volta: “Ma vede anche lei le previsioni del tempo di Paolo Sottocorona sulla Sette? No? Eh, ma dovrebbe…”. La gente annuiva, pensando a quant’ero fesso. Invece avevo ragione.



Di solito vedevo le previsioni di Sottocorona la mattina alle 7.55, prima di uscire per andare a lavorare. Poi ho scoperto che le stesse previsioni, solo un po’ scorciate, le faceva anche attorno alle 7.30 (e poi forse anche più avanti nella mattinata, ma io ero già lontano), così quando potevo facevo l’accoppiata: guardavo la versione delle 7.30, scendevo al bar per fare colazione, rientravo in casa per lavarmi i denti e con l’occasione vedevo le previsioni delle 7.55, apprezzando anche le piccole differenze, l’informazione più distesa che quel paio di minuti in più consentiva. Erano previsioni molto raccontate: si partiva dalla situazione sull’Europa, poi si stringeva sull’Italia, poi i venti e i mari, infine le temperature. Dopo la fine c’erano le fotografie mandate dagli spettatori, pezzi di cielo fotografati ad Aosta o Teramo o a Canicattì (ma c’era spesso molta Sardegna: Sottocorona era un uomo di mare) con nuvoloni di strane fogge e colori, onde anomale, albe multicolori, neve. Perché le foto? Così. Ma da anni, ormai, ogni volta che vedevo un arcobaleno o un tramonto particolarmente sgargiante mi dicevo: “Questa la mando a Sottocorona” (senza farlo mai, ovviamente).



Il fatto è che delle previsioni del tempo non mi era mai importato niente, e poco m’importerà d’ora in poi: ma mi piaceva moltissimo lui, perché era sobrio, educato e chiaramente intelligente in un mondo, specie quello televisivo, in cui abbondano gli sguaiati e i chiaramente poco intelligenti. La mia razione di Paolo Sottocorona mi bastava come tonico, se non per tutta la giornata, almeno per le prime ore del mattino. E poi era sufficiente aspettare, c’era sempre l’indomani.



Qualche anno fa ho scritto per questo giornale un lungo articolo su di lui, pieno di elogi, e lui ha avuto la cortesia di telefonarmi per ringraziare. Ce la siamo raccontata a lungo (lui era stato in Antartide, io sogno di andarci: ricordo con quanta esattezza ha descritto quale cosa preziosissima fosse, in mezzo al Polo Sud, una barretta di cioccolato: quell’esperienza, mi ha detto, gli aveva cambiato la vita), e ci siamo anche ripromessi di vederci un giorno, a Roma. Mi sembrava che ci assomigliassimo, e forse lo pensava anche lui. E adesso è tardi. “Il primo giorno dopo una morte – scrive Larkin – la nuova assenza è uguale a tutte le altre”. E naturalmente arriva un’età, questa, in cui le assenze cominciano ad accumularsi. Ma – penso stamattina – quale strana meravigliosa invenzione è la televisione: ci si affeziona a persone che non si sono mai incontrate, che neppure sanno della nostra esistenza, s’impara a conoscere il loro carattere da piccoli indizi, e così finiscono per diventare un pezzo della propria cerchia di amici, e quando comincia la loro assenza, quando muoiono, ci si sorprende a piangere.




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