L’ambasciatore Talò (Imec) spiega il ruolo dell’Italia nel futuro di Gaza

“Il nostro paese ha una sua presenza ormai consolidata in diversi settori. Il primo è quello della polizia di stabilità. Oltretutto ha già addestrato, per anni, forze palestinesi a Gerico” parla il primo inviato speciale per il corridoio India-Medio oriente-Europa

“Il piano di pace di Trump ha riscosso successi perché è stato redatto con intelligenza”, dice al Foglio Francesco Maria Talò. Che poi aggiunge: “Ci vedo la mano di Tony Blair, certo”. Che negli scorsi giorni ha incontrato Giorgia Meloni. “E più precisamente vedo quello che noi diplomatici chiamiamo ‘ambiguità costruttiva’”. Cioè? “E’ la capacità di nascondere i punti di forza nei particolari. Il diavolo, del resto, si nasconde nei dettagli”. Già consigliere diplomatico del primo ministro Meloni, Talò ha rappresentato l’Italia in Israele per cinque anni. Lo incontriamo a margine del “Festival del Cambiamento-Gorizia città della pace giusta”, organizzato dalla Camera di commercio della Venezia Giulia, dalla Regione, Isn e Med-Or Italian Foundation.

Oggi Talò è il primo inviato speciale per il corridoio India-Medio oriente-Europa (Imec). E, in forza di una lunga carriera, individua gli orizzonti italiani nella Gaza pacificata. “Il nostro paese – spiega – ha una sua presenza ormai consolidata in diversi settori. Il primo è quello della polizia di stabilità. E poiché un tema centrale dopo la pace sarà la sicurezza, ecco, lì vedo certo in prima linea le forze arabe. Vedo certo un ombrello degli Stati Uniti. Ma poi vedo lo spazio per una presenza europea e italiana, forse nella formazione”. A fronte dell’instabilità della Francia, vede una maggiore presenza italiana? “Sì. Soprattutto perché nel settore della sicurezza l’Italia ha capacità uniche”. Quali? “Penso ai Carabinieri. E alla cosiddetta Polizia di stabilità, concetto nato da noi che comprende la commistione di capacità di Polizia e forza militare. Oltretutto l’Italia ha già addestrato, per anni, forze palestinesi a Gerico. Siamo ancora lontani da una prospettiva nitida e tuttavia è possibile che parte delle nuove forze palestinesi, che verranno ben vagliate, sia stata formata da noi”.

C’è poi il tema della ricostruzione. “E in quel perimetro in tanti sono chiamati all’appello. In primis, i paesi del Golfo. Anche se entrano in gioco nuove possibili reti di connettività…”. Per esempio? “Per esempio un contributo potrebbe venire dal corridoio India-Medio oriente-Europa. La componente mediorientale, che parte dal Golfo, potrebbe arrivare nel mediterraneo. In tal senso, si è pensato a Haifa. Ma non solo. Per arrivarci, infatti, c’è bisogno che si vada verso una normalizzazione del rapporto tra i sauditi e Israele. Bisogna che Israele dimostri qualcosa ai sauditi”. Tornando all’Italia, si può immaginare un’estensione del Piano Mattei a Gaza? “Interessante. Direi di sì. Il piano Mattei è un modello che contempla il gioco di squadra al livello internazionale e, parimenti, al livello interno. L’Italia si rivolge all’Africa rendendola partecipe, senza atteggiamenti paternalistici”. Nel concreto, si tratta di coinvolgere il settore privato e le partecipate dello stato. “Al livello interno, oltre al governo, a muoversi può essere la Repubblica. E dunque le regioni, gli enti locali. Il settore privato, le imprese. A partire dalle grandi partecipate. La squadra è una, e si chiama Italia”.

Tralasciando i rendering trumpiani, sappiamo che un’idea emergente nelle partecipate riguarda l’ambito del design. “C’è un aspetto umano di convivenza che certo incrocia il tema. E’ qualcosa che penso sia ancora molto lontano, ma ci sono dei modelli. Penso alle città italiane di confine. A Gorizia, dove siamo ora. A Trieste, che ha una tradizione cosmopolita. E poi ancora agli Emirati Arabi Uniti, dove la famiglia abramitica si ritrova all’incrocio di sinagoga, chiesa e moschea”. Come si riconfigureranno i rapporti dell’Italia con Israele? “I rapporti con Israele sono antichi. E potranno essere rilanciati sulla base di una prospettiva di pace. Credo che la ricostruzione, cui l’Italia prenderà parte, rilancerà in qualche modo il sogno di Shimon Peres”. Il miracolo dell’innovazione israeliana? “Peres viene considerato l’artefice della start-up nation. Nondimeno era convinto che nessuna pace si sarebbe potuta avere se Israele fosse stato per sempre circondato da paesi ostili e in difficoltà economica. Dalla start-up nation, si dovrà passare a una start-up region. L’Imec farà la sua parte”.

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