Alter3 è a tutti gli effetti un esempio di intelligenza artificiale incarnata, che ci interroga su se e quando l’AI sarà un soggetto dotato di volontà propria. Le discussioni tra gli esperti e una domanda ancora inevasa
A pochi passi dal bagno di luce, di cielo e di mare che è il Canal Grande, si entra nel lunghissimo e buio percorso delle Corderie, che quest’anno ospitano l’edizione 2025 della Biennale Architettura di Venezia. A metà strada un incontro insolito, benché non del tutto inatteso: ci si imbatte in una creatura robotica, in parte antropomorfa, dal nome inquietante di Centaur Alter3 (creazione di Takashi Ikegami, Università di Tokyo, e di Luc Steels, Università di Antwerp). Il robot dialoga in tutte le lingue del mondo con i visitatori (finora ne sono state utilizzate 70 diverse) grazie all’integrazione tra un Llm e le reti neurali che muovono il suo corpo. Rispetto a ChatGPT (o Gemini o Grok), Alter3 è fisicamente presente e interagisce non solo attraverso le parole, ma anche tramite gesti e movimenti. E’, a tutti gli effetti, un esempio di intelligenza artificiale incarnata.
Con un po’ di ironia, si potrebbe dire che la prima generazione di Llm rappresentava perfettamente l’incipit del Vangelo di Giovanni: “In principio era il Verbo (Logos)”. Ora, invece, attendiamo l’incarnazione di questa parola artificiale come momento cruciale in cui il Verbo digitale si farà persona. Oltre la battuta, resta la domanda: se e quando l’intelligenza artificiale diventerà davvero un soggetto dotato di coscienza e volontà. Per affrontare questo interrogativo, sabato scorso, nel suggestivo allestimento teatrale a forma di imbarcazione, si sono riuniti studiosi internazionali che da anni indagano il problema della coscienza e il suo rapporto con l’intelligenza artificiale: neuroscienziati, filosofi e studiosi di robotica e intelligenza artificiale. Da questa varietà si capisce subito che la coscienza non appartiene a una singola disciplina e che serve un dialogo molto ampio. Qui, però, sorge l’inghippo: spesso si utilizzano linguaggi e premesse così divergenti da non riuscire neppure a entrare in conflitto.
Per il filosofo Thomas Metzinger (Università di Mainz) la coscienza è un livello fondamentale dell’esistenza, simile alla pura consapevolezza del buddhismo. A prima vista sembrerebbe lontanissimo dai processi matematici che animano l’AI di Alter3. Eppure, sorprendentemente, non è così: secondo lui le macchine diventeranno presto coscienti, tanto da spingerlo a proporre una moratoria sull’AI per evitare la creazione di robot capaci di soffrire. Una richiesta che appare poco realistica mentre Stati Uniti e Cina sono già impegnate in una corsa forsennata verso la cosiddetta Agi, l’intelligenza artificiale generale capace di uguagliare – e inevitabilmente superare – quella umana in ogni compito.
Più cauto si mostra il neuroscienziato Stanislas Dehaene (Collége De France), che sottolinea come il cervello conservi ancora alcuni vantaggi. Se gli Llm sanno prevedere la parola successiva, i suoi studi rivelano che il cervello lavora su scale multiple, arrivando contemporaneamente ad anticipare frasi, paragrafi e persino il senso complessivo di un testo. Per questo, pur insistendo sulla natura computazionale della coscienza – che considera senza esitazione “un tipo di computazione” – il passaggio dai numeri alle parole di un Llm non convince tutti. Né il fisico Vittorio Loreto (SonyLab, Roma) né il robotico Stefano Nolfi (CNR, Roma) si sentono di accoglierlo senza riserve.
Secondo Loreto, infatti, la coscienza risiede nell’apertura di un sistema al mondo, una relazione che costituirebbe il fondamento stesso della nostra esistenza. Ancora più delicato resta il passaggio dal linguaggio alla coscienza: è fin troppo facile attribuire un “io” a un’intelligenza artificiale che parla con sicurezza e intrattiene i visitatori su ogni tema (salvo sbagliare clamorosamente la collocazione della miglior gelateria di Venezia). Come giustificare, però, questa impressione? Non basta pronunciare “io” per esserlo davvero. E che cos’è un io? Steels e Takashi non hanno esitazioni: non lo sanno. Ciononostante continueranno a sviluppare nuove versioni di Alter3, convinti che non esista un ingrediente segreto, ma che l’intelligenza sia distribuita ovunque e che corpi umani e artificiali possano incarnarla.
Il simposio si conclude in una Venezia ancora calda. Gli studiosi si stringono attorno ad Alter3 per una foto ricordo; il robot reagisce in modo incerto, disorientato dalla confusione di voci e persone. L’illusione che avesse una sua personalità, va in frantumi. Il pubblico osserva divertito: forse in un futuro non lontano l’AI sarà cosciente, ma quel giorno non è ancora arrivato. E’ invece già giunto il momento di mettere in discussione le nostre convinzioni antropocentriche e di trovare un linguaggio nuovo che consenta a discipline diverse di affrontare ciò che ancora sfugge sia alla scienza sia alla filosofia: la nostra coscienza, il nostro esistere. Noi.