Partite a Miami o Perth, il sindacato dei calciatori insorge. Ma chi paga?

Scioperi annunciati e lamentele milionarie. Il pallone dimentica il costo del suo stesso spettacolo. Ma il pubblico lo sa: lo sport è industria, e se i campioni non vogliono esportare il prodotto, c’è sempre posto in officina

“A lavorare / Andate a lavorare!” è fra i cori da stadio forse non il più esaltante, non si canta quando si vince, ma senza dubbio è uno dei più sostanziati di logica e democratici: se con tutti i soldi che prendete, con la promessa di farci divertire, poi siete così brocchi in campo, allora andate a lavorare. Ma il lavoro vero, quello dei compagni dai campi e dalle officine o anche quello dei travet e di tutti gli altri noi mortali che non viviamo come le star e non siamo mai stati al Roxy Bar. Viva la democrazia sportiva, e pure quella economica. Il grande coro, “andate a lavorare”, viene spontaneo alle labbra dopo una decisione della Uefa (ma presa “con riluttanza”, se mai c’è stata un’ipocrisia, eccola) che ha deciso che due partite di campionati europei potranno essere giocate fuori dal continente. Sotto Natale Villareal-Barcellona a Miami e in febbraio l’italiana anzi lombarda Milan-Como addirittura extra emisfero, a Perth, Australia: motivo ufficiale, a febbraio San Siro sarà impegnato per le Olimpiadi. Bene, in Spagna si sono opposti tutti i capitani e si è mobilitato il sindacato dei calciatori, poveri operai sfruttati, che vuole studiare forme per bloccare un’innovazione con ogni evidenza troppo liberista. E questo nonostante “si tratti di un permesso unico che non vuole creare un precedente”. Ma la Liga non li aveva né consultati né informati, “mancanza di rispetto”, e anzi il capo sindacalista dei calciatori spagnoli ha dichiarato che la scelta per forza “qualcosa deve nascondere”. Aspettiamo lo sciopero, o almeno una trattativa sui buoni pasto. In Italia i fischi finora sono soprattutto a mezzo stampa, anche se il ministro dello Sport Andrea Abodi s’è dichiarato invece ottimista: “Buona occasione per promuovere il calcio italiano”. La Uefa è riluttante, “in via eccezionale”, e in futuro stabilirà regole che “mantengano l’integrità delle competizioni nazionali e lo stretto legame tra i club, i loro tifosi e le comunità locali”. “Il nostro impegno è chiaro: garantire che il calcio rimanga ancorato al suo ambiente di casa”.

E’ sempre molto comico, ma molto indicativo, che in tutto questo genere di lamentele – ricordate la disperazione di essere costretti a giocare troppe partite? – o per non essere stati consultati, o per mantenere il calcio “ancorato al suo ambiente di casa” non si parli mai di quanto tutta questa grande bellezza costi. Alle società. Uefa e Fifa, cioè il trust che organizza il business globale e redistribuisce il grisbì a club e federazioni, fanno la boccuccia a culo di gallina. Riluttanti. I sindacati pedatori minacciano scioperi. Sul fatto che giocare a Miami o a Perth possa portare incassi extra alle squadre, in modo che poi possano alimentare le idrovore di campioni e brocchi, elegantemente si tace. Eppure basterebbe accettare di guadagnare di meno per poter giocare di meno, e magari sempre sotto casa. E’ un po’ la stessa bolla che sta facendo esplodere uno sport persino più ricco, il tennis. Il magnifico Sinner, che almeno non si lagna, è stato fermato dai crampi perché ha giocato a Shanghai a temperature assurde, Djokovic ha persino vomitato. Un altro serbo, Medjedovic, ha abbandonato il campo urlando: “Come potete lasciarci giocare in queste condizioni?”. Il buon Paolo Bertolucci ha avuto gioco, partita e incontro: “Tanti ritiri e polemiche? I giocatori sono ingordi. Giocano, prendono e non si fermano. Senza i big il torneo non ha fascino e senza i nomi più carismatici fuggono anche gli sponsor”. A lavorare / andate a lavorare!

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  • Maurizio Crippa
  • “Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini”

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