La premier archivia il “Meloni day” da Bruno Vespa tra pace fiscale light, tagli ai ministeri, premierato e legge elettorale. Ma è lite a destra sulle regionali: Donzelli chiama, il segretario della Lega lombarda risponde picche
Giorgia Meloni di manovra, ceto medio, elettorale. Chi comanda? Meloni! Superba lite nel centrodestra per Veneto, Lombardia, Campania. Troppe vittorie. Problemi di abbondanza. FdI candida Edmondo Cirielli in Campania, contro il volere di Forza Italia. In Veneto la Lega non accetta lo scambio con FdI (che pretende la Lombardia). A un passo dall’ufficializzazione di Alberto Stefani, candidato leghista in Veneto, e di Luigi Lobuono, in Puglia, salta tutto. Giovanni Donzelli telefona a Massimiliano Romeo, il segretario della Lega lombarda e chiede: “Fai una dichiarazione a nostro favore sulla Lombardia”. Romeo risponde mai e poi mai e dice a Matteo Salvini: “Se la Lega perde la Lombardia, la Lega è finita. E ciascuno si prenderà le sue responsabilità”. Meloni corre a Porta a Porta e dà la linea: legge elettorale con indicazione premier, referendum sulla giustizia, votate, votate, perché è “occasione storica”. Il Quirinale? Non lo vuole. Come è modesta la presidenta.
Ripartiamo. Meloni day. Da Bruno Vespa, pensionato (lui è quota interminabile altro che 100) la premier è a tutta Gaza. Piano Pace Trump? (“Convergenza totale”). Accuse della sinistra? “Io, Crosetto, Tajani, e credo l’ad di Leonardo, Roberto Cingolani, siamo stati denunciati alla Corte Penale internazionale per concorso in genocidio, unico caso al mondo”. Il clima? “Imbarbarito. Non conto più le minacce di morte. I responsabili di questo clima sono chi dice che ho le mani sporche di sangue. Attenzione a fomentare piazze, poi sfuggono di mano. Non siamo guerrafondai”. Si scatena contro Giuseppe Conte (“il blocco navale a Gaza c’è dal 2009 ma non si era accorto”). Lo sciopero? (“Cgil è più interessata a difendere la sinistra che lavoratori”). Le regionali e il centrodestra? “Nessuno nervosismo. Da quando si è votato alle politiche si è votato altre 16 volte in tre anni, tra Regioni e Province autonome, e il centrodestra ne ha vinte 12 su 16, il centrosinistra 3”.
Ancora. Il Quirinale, Meloni dopo Mattarella? Risponde Meloni: “Mi basta e avanza fare la premier”. Sul 7 ottobre, gli striscioni orribili che inneggiano al massacro? “Scioccata. Parlare di semplici infiltrati nei cortei è riduttivo”. Legge elettorale? Lo conferma, la vuole e si apre un grande problema per Elly Schlein, perché equivale a primarie di coalizione. Meloni dixit: “Non sono contraria. Se si facesse una nuova legge elettorale, ne farei una che va bene con il premierato, quindi con l’indicazione dei candidati premier su scheda”. Se perde il referendum sulla giustizia non ci “saranno conseguenze”. Non si dimette come fece Renzi. Oggi, mercoledì 8 ottobre, ci sarà vertice a Palazzo Chigi per parlare di manovra e venerdì, Alfredo Mantovano, Mantofiore, incontra Maurizio Landini, il segretario della Cgil alla Diavola, e gli altri sindacati Cisl, Uil e Ugl sempre per discutere di legge Finanziaria. Non ci sarà il duello alla Sergio Leone, dopo lo sciopero generale, non sarà il western Meloni-Landini. La premier deve scappare a Firenze a comiziare e in Sala Verde non ci sarà neppure il Fazzo, il sottosegretario Fazzolari, perché allora sì che sarebbe stato grande spettacolo: Il Fazzo, il Mantovano e Landini. Si lavora, che pensate?
Giancarlo Giorgetti è tutto preso dallo sconto Irpef del 33 per cento (è la grande misura a cui tiene la premiera) ma solo fino a 50 mila euro e non fino a 60 mila (come chiede Forza Italia. Tajani, accontentati!). Sulle banche, promette Meloni: “Confido in uno sforzo delle banche”. La notizia è un’altra. La nostra presidenta ama il rigore, non vuole dare il segnale che sulle tasse sia un “liberi tutti”. Detto in poche parole: non le piace la rottamazione, la pace fiscale e infatti si farà ma in piccola misura, un miliardino. Anche sulle pensioni, è prudente. Sterilizzare l’aumento dell’aspettativa di vita di tre mesi costa troppo (3 miliardi) e dunque l’ipotesi è adottarla solo per alcune categorie.
L’appuntamento da segnalare è sempre venerdì. Arriverà il giudizio di un’altra agenzia di rating Standard & Poor. Meloni non vuole scassare i conti come i franciosi di Macron, fare altro debito. La volontà è uscire dalla procedura d’infrazione già quest’anno, come promesso alla Ue. Ah, si prevedono tanti bei tagli di dotazione per i ministri che non hanno saputo spendere (a eccezione di Lollobrigida, che è sempre Superlollo). A Meloni non piacciono i pigri. Non le piace neppure che le si dica, lato Lega: “Vogliamo Veneto, vogliamo Lombardia, vogliamo tutto”. Non siamo negli anni Sessanta. Il patto con Salvini, Salvinacci è semplice: “Se ti diamo il Veneto, tu ci dai fra tre anni la Lombardia”. La dichiarazione la doveva fare Romeo ma Romeo, nisba, e allora Donzelli, Giovannin, dice: “Se il Veneto vuole la Lega anche FdI vuole il Veneto”. Il povero Stefani, l’assolato Stefani, aveva prenotato una sala, giovedì, in Veneto, convinto di annunciare la sua candidatura, ma ha dovuto annullare la sala. Dalle parti di Salvinacci, si mantiene la calma, “tranquilli, troveremo una formula”. Si vedrà. Oggi.
A proposito. In vista del voto sull’autorizzazione a procedere sul caso Almasri per i ministri Nordio, Piantedosi e il sottosegretario Mantovano, Meloni ha ordinato: “Li voglio tutti in Aula, tutti”. Chi manca è avvisato. Finisce sulla Flotilla senza amuchina.