Le iperpresidenze francesi hanno spaccato il sistema. Come aggiustarlo

È necessaria una riforma formale ma anche un’evoluzione delle prassi presidenziali, che dovrebbero tornare a un’interpretazione originaria del ruolo del presidente: un capo dello stato responsabile degli affari esteri e della difesa e al primo ministro la piena responsabilità dell’azione di governo

Le ultime vicissitudini della crisi politica che si sta sviluppando a Parigi danno l’impressione di un crollo senza fine del sistema politico francese. Il blocco attorno al presidente Emmanuel Macron, sia per la sua figura sia per i limiti della funzione presidenziale in Francia, non riesce a essere gestito. Il sistema presidenziale francese è stato a lungo efficiente: fino alla rielezione di Emmanuel Macron nel 2022, l’elezione del presidente a suffragio universale creava una dinamica che trascinava con sé, nelle successive elezioni legislative, una maggioranza presidenziale. Questo meccanismo era favorito dalla legge elettorale, che con il sistema maggioritario a doppio turno si rivelava una macchina perfetta per eliminare le piccole formazioni, rafforzando il bipolarismo. Le elezioni del 2022 sono state un primo campanello d’allarme: il campo presidenziale ha ottenuto 250 seggi, ma ne servono 289 per avere la maggioranza assoluta.

Tuttavia, la situazione restava gestibile, anche grazie agli accordi con i gollisti dei Républicains. La dissoluzione del 2024 e le successive elezioni hanno ulteriormente frammentato il Parlamento, con un indebolimento del campo presidenziale sceso a quota 160 seggi e una tripartizione dell’Assemblea nazionale che non permette a nessun polo di governare da solo. Di fronte a questo scenario, ci si aspettava che le forze politiche moderate potessero unire le forze per portare avanti un’agenda minima – come l’approvazione della legge finanziaria – con un sostegno che andasse dalla destra di governo alla sinistra riformista. Ma il fallimento dei governi Barnier, Bayrou e Lecornu hanno dimostrato che questa soluzione non riusciva a concretizzarsi.

Ci sono due livelli di blocco. Il primo è rappresentato da Macron che, in quanto leader esecutivo, non si è mostrato disponibile a creare le condizioni per un allargamento della maggioranza verso sinistra. Da questo punto di vista, si può affermare che il ruolo esecutivo del presidente, accentuato dalla riforma costituzionale del 2000, rappresenta oggi un ostacolo all’esercizio della funzione di garante delle istituzioni e di mediatore tra le forze politiche in crisi. Certamente, la prima versione della Quinta Repubblica, in vigore fino al 2000, permetteva al presidente, grazie al mandato settennale, di gestire una coabitazione con una maggioranza parlamentare a lui ostile. La riforma del 2000, facendo coincidere il mandato presidenziale con quello dell’Assemblea mazionale (quinquennio), mirava a evitare queste coabitazioni, eliminando però anche una consuetudine istituzionale che ne aveva garantito una gestione efficace. Nel contesto attuale, il gioco politico francese appare completamente inquinato dalle strategie dei vari leader, impegnati a posizionarsi in vista delle prossime presidenziali. Se il Rassemblement national con Marine Le Pen o Jordan Bardella dovesse arrivare in testa al primo turno delle presidenziali, chi arrivasse secondo avrebbe automaticamente la possibilità di accedere al ballottaggio e di raccogliere il sostegno dell’arco repubblicano anti Rn, con buone probabilità di essere eletto.

Visti i sondaggi, i pretendenti a questo secondo posto sono numerosi, anche perché nessuno sembra capace di distanziare gli altri. Tutti puntano a ottenere una quota tra il 10 e il 15 per cento, cercando di superare gli avversari anche solo per un soffio. Questa specie di lotteria legata all’elezione del presidente rappresenta oggi un fattore estremamente negativo, che spiega il blocco attuale: una classe politica incapace di mettere da parte i tatticismi per compiere il minimo necessario per il paese, ovvero approvare una legge finanziaria.

Un’eventuale ulteriore dissoluzione, ormai probabile, rischia solo di procrastinare questi problemi. Certamente, un’elezione presidenziale anticipata potrebbe riportare un po’ d’ordine nel calendario politico, ma di fronte alla tripartizione bisogna interrogarsi sui limiti strutturali del regime presidenziale francese, che si dimostra inadatto a gestire governi di coalizione al di fuori di una logica strettamente bipolare. Appare necessaria una riforma formale – come il ritorno al mandato settennale – ma anche un’evoluzione delle prassi presidenziali, che dovrebbero tornare a un’interpretazione originaria del ruolo del presidente: un capo dello stato responsabile degli affari esteri e della difesa, e al primo ministro la piena responsabilità dell’azione di governo, cosa ben diversa rispetto alle “iperpresidenze” di Nicolas Sarkozy, François Hollande e Macron.

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