La libertà zoppicante in un mondo dalla fisionomia sempre più oligarchica

La distinzione tra potenze fondate su libertà politiche e libero mercato e forze ostili a questo modello è ormai venuta meno. Ci sono solo attori geopolitici che sembrano voler seguire una linea che poco ha a che fare con una cultura di tipo liberaldemocratico. Da Trump ai leader delle Big Tech

Qualche giorno fa in rete girava un video di preoccupante e deprimente mediocrità: Donald Trump con intorno, adoranti, i grandi leader delle cosiddette Big Tech, compresi Google, Meta e OpenAI, che lo ringraziavano per quanto sta facendo in termini di deregulation nel campo dell’intelligenza artificiale. Una concentrazione di potere politico, economico e tecnologico mai vista prima, nonché una sorta di brutale riemersione della realtà dopo anni di chiacchiere sconclusionate contro l’imperante “liberismo”. Contrariamente a quanto denunciavano e denunciano ancora i nemici del mercato capitalistico, non era e non è la libertà economica dei liberali quella che sta crescendo, ma soltanto la saldatura tra potere economico, potere tecnologico e potere politico, della quale il suddetto video costituisce espressione emblematica. Pensavamo che certe immagini potessero riguardare al massimo la Cina o la Russia, non gli Stati Uniti d’America.

E invece sembra che il mondo stia prendendo un po’ ovunque la stessa preoccupante fisionomia oligarchica. Non ci sono più da una parte le grandi potenze fondate sulle libertà politiche e sul libero mercato, dall’altra quelle ostili ad entrambi; non c’è più neanche la globalizzazione; ci sono soltanto grandi attori geopolitici in concorrenza tra loro che però sembrano voler seguire una linea che poco ha a che fare con una cultura e istituzioni di tipo liberaldemocratico o con la volontà di far valere le norme più elementari del diritto internazionale. Con buona pace dell’Europa, grande attore economico, ma di scarso peso geopolitico quando a contare è soprattutto la forza militare. Ucraina docet.

Non sto dicendo, sia chiaro, che gli Stati Uniti d’America sono come la Cina o la Russia. Nonostante Donald Trump, la loro tradizione, i loro assetti politico istituzionali non sono minimamente comparabili con quelli degli altri. Anche negli Stati Uniti tuttavia, e non da oggi, ci sono segnali che fanno pensare a una svolta sempre meno compatibile con gli ideali di libertà che ne hanno fatto la grandezza. Penso alla diffusione della cultura woke tra i liberal in questi ultimi quarant’anni e alla reazione trumpiana tra i conservatori (due facce di una stessa medaglia); penso alla politica dei dazi e alla postura internazionale della nuova Amministrazione Trump; penso all’inadeguatezza del sistema educativo e alla recente politica vendicativa da parte della stessa Amministrazione nei confronti delle Università più prestigiose. E ce ne sarebbe già abbastanza. Ma penso soprattutto proprio alla saldatura tra politica e Big Tech e a ciò che tale saldatura sottende: un’innovazione tecnologica non più controllabile politicamente che sembra procedere secondo una logica ferrea, autoreferenziale, come se gli uomini non esistessero. Se non si vuole rimanere indietro bisogna assecondarla, investire quante più risorse possibili per arrivare prima degli altri. Poco conta se per assecondarla siamo costretti a sacrificare la possibilità di controllarne in qualche modo gli esiti, i rischi e le opportunità. Non c’è tempo da perdere dietro a queste quisquilie, troppo incalzante l’urgenza dell’innovazione. Ai possibili eventuali danni penseremo dopo. Non possiamo insomma consentire che Cina e Russia diventino padroni di un settore tecnologico delicato come l’intelligenza artificiale.

Purtroppo sembra tutto drammaticamente vero; per certi versi persino condivisibile. Ma dove va a finire la nostra libertà? Che senso ha, poniamo, parlare ancora di realismo politico quando le cose si fanno da sole? Il problema si acuisce ancora di più se pensiamo che stiamo parlando di una tecnologia, l’intelligenza artificiale, che non è una tecnologia come quella che abbiamo conosciuto finora, bensì una tecnologia sostitutiva della nostra intelligenza e della nostra capacità d’agire. Svilupperemo l’intelligenza artificiale lasciandoci guidare soltanto dalla loro inaudita potenza (anche militare) o cercheremo di farlo all’interno di un orizzonte che, per quanto è possibile, cercherà di tenerla sotto il nostro controllo? Non sono questioni da poco. Una volta si sarebbe detto che sono le classiche questioni urgenti sulle quali sviluppare un dibattito pubblico serrato. Ma evidentemente non abbiamo più le risorse istituzionali né quelle culturali per farlo.

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