“Le medaglie non sono solo per i ricchi ma per chi ha voglia di andarsele a prendere”. Chi è l’atleta che ha riportato l’Italia sul podio mondiale della maratona dopo un’attesa di 22 anni, dal bronzo di Baldini a Parigi 2003
“Il sogno c’è sempre stato e, quando ci credi, i sogni si realizzano. La parola ‘impossibile’ è semplicemente nel dizionario delle persone che vivono di scuse”. “Questa medaglia non appaga la mia fame, ma spero che qualche bambino delle periferie abbia visto la mia gara e voglia iniziare l’attività. Le medaglie non sono solo per i ricchi, ma per chi ha voglia di andarsele a prendere”. “La maratona è una disciplina spirituale. È un momento di introspezione. È solitudine, ma di quel tipo che fa bene alla mente. Ti fa crescere”. “Mi sento italianissimo, il mio cognome potrebbe essere sardo. Non provo rabbia ma pena e compassione per chi non sa nulla delle vite degli altri e insulta senza avere rispetto per i loro sacrifici” Frasi di saggezza che ai Mondiali di atletica a Tokyo sono diventate virali. Parole e musica di Iliass Aouani, bronzo della maratona, che un tempo avremmo definito opinion leader e che oggi possiamo considerare un influencer dell’atletica.
Il maratoneta azzurro ci aveva già impressionato al microfono nella conferenza stampa della vigilia per la profondità dei ragionamenti e per il suo linguaggio forbito. Ma poi in gara ha dimostrato anche di saper correre forte guardando a soli 5” di distanza lo sprint al fotofinish fra il tanzaniano Alphonce Simbu (vincitore) e il tedesco Amanal Petros, entrambi accreditati di 2h 09’48”. Per il ventinovenne milanese delle Fiamme Azzurre, arrivato a due anni dal Marocco, fa festa (non solo in senso metaforico) tutto il quartiere Ponte Lambro, uno di quei simboli del degrado da cui normalmente ci si tiene alla larga e che oggi, sia pur bonificato, fa ancora paura. Ma stavolta se ne parla in positivo, come successe per i judoka Maddaloni a Scampia. Un ammasso di case popolari alla periferia sud est di Milano in cui devi scegliere: puoi sognare guardando gli aerei che decollano dalla limitrofa pista di Linate, puoi sentirti sicuro per la presenza dell’aula bunker dei processi antimafia del Tribunale Milanese oppure protetto per l’ospedale Monzino che la separa dalla tangenziale.
In qualche caso puoi metterti a correre ma sempre schivando siringhe, malavita e violenza. Il complesso “Ucelli di Nemi”, insieme al famigerato boschetto di Rogoredo poco più in là, era una delle roccaforti dello spaccio, qui sotto i portici fatiscenti stazionavano notte e giorno i venditori di morte finché non hanno assegnato le case popolari alle reclute militari che hanno mischiato le carte. Papà Abderrazak è arrivato dal Marocco negli anni Novanta, la moglie Saasia l’ha raggiunto sette anni dopo: insieme hanno cresciuto cinque figli (tre maschi e due femmine) di cui quattro laureati e uno che lavora col padre. Come hanno fatto? “Col sacrificio”, dicono, visto che papà Aouani continua ad andare al lavoro alle 5 del mattino, prima faceva il lavapiatti e ora l’operaio.
Anche quando viveva in America, dove ha preso la laurea in ingegneria edile e anche ora che si allena a Ferrara nel gruppo di lavoro di Massimo Magnani, Iliass quando può si rifugia a Ponte Lambro ed è qui che ogni anno fa il Ramadan. Ma soprattutto è da qui che dai 14 ai 20 anni partiva con lo zaino in spalla per la corsa di trasferimento che lo portava al campo Snam di San Donato Milanese, 2 chilometri avanti e indietro, dove trovava l’allenatore Claudio Valisa e ogni tanto il gioiello della sua nidiata Genny Di Napoli, ritiratosi 20 anni fa.
La sua vita è stata una corsa a ostacoli, ma Iliass non ha mai trascurato gli impegni scolastici: sempre fra i migliori della classe dalle elementari al liceo scientifico lì vicino. Con Valisa una crescita graduale, lavorando all’inizio (con Iliass che mordeva il freno) sulla base di velocità che gli ha consentito di vincere tanti titoli italiani in pista e nel cross. Il brusco risveglio quando un gruppo militare decise nel 2019 di non arruolarlo quasi a cose fatte. Da qui la decisione di partire per l’America con una borsa di studio, prima di approdare alle Fiamme Azzurre. Alla gara di Tokyo Iliass è arrivato nello stesso modo, dopo una delusione: “La mancata convocazione per l’Olimpiade di Parigi mi brucia ancora, ma ho reagito decidendo di correre solo per la maglia azzurra, io che mi sento italianissimo. Quest’anno nella maratona sono stato oro agli Europei di corsa su strada e bronzo ai Mondiali, non ci sarà spazio per altro. L’anno prossimo mi dedicherò alle corse “private”, più remunerative”.
Ci sono volute 8 maratone perché Aouani, dopo alti e bassi, riuscisse a inquadrare la distanza, merito anche di Stefano Tavoletti, il mental coach che condivide con Leo Fabbri e tanti altri: “Mi ha insegnato a visualizzare la fatica che mi aspetta, quasi a esorcizzarla con il mio durag, il foulard nero usato dalle comunità afroamericane e hip-hop. che mi ha trasformato in un gladiatore. Non mi sono preoccupato neanche quando ho perso una delle mie lenti a contatto e devo dire che ho pensato anche di vincere”. Una medaglia in maratona che ai Mondiali mancava da 22 anni, dal bronzo di Baldini a Parigi 2003. I sogni si avverano.