Perché siamo favorevoli alla separazione delle carriere

La riforma completa il modello accusatorio del processo penale, garantendo un giudice realmente terzo ed equidistante da accusa e difesa. Serve a rafforzare l’equilibrio costituzionale, limitare l’influenza delle correnti e distinguere chiaramente il ruolo del pm da quello del giudice

La riforma costituzionale della magistratura modifica il titolo IV della Costituzione separando le carriere dei magistrati requirenti e giudicanti, istituisce due diversi Consigli superiori della magistratura (entrambi posti sotto la presidenza della Repubblica), introduce il sorteggio per i membri dei Csm e istituisce un’Alta Corte disciplinare, chiamata a emettere le sentenze disciplinari nei confronti dei magistrati di entrambe le funzioni.

La riforma della separazione delle carriere tra giudici e Pm non rappresenta una rottura, ma il completamento di un percorso iniziato con il codice Vassalli del 1989 e proseguito con la riforma dell’art. 111 della Costituzione nel 1999, che ha introdotto il principio del “giudice terzo”. Come abbiamo detto qui, la mancata separazione delle carriere ha finora impedito la piena attuazione del modello accusatorio, basato sul contraddittorio e sulla parità tra accusa e difesa.

Secondo l’ex procuratore generale della Cassazione Vitaliano Esposito, la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri è “la conseguenza logica della riforma del processo penale in senso accusatorio del 1989”. Parlando con il Foglio, Esposito respinge l’idea che tale riforma metta a rischio l’indipendenza del pm, definendo “una bestialità” la tesi che lo renderebbe soggetto al potere esecutivo. A suo avviso, due Consigli superiori distinti garantirebbero l’autonomia di entrambi i ruoli, ma è necessario regolare con precisione i poteri del Pm e il suo rapporto con la polizia giudiziaria.

La riforma – com’è spiegato in questo editoriale – cerca di ristabilire un equilibrio tra accusa e difesa, depotenziando le correnti, provando a rendere più imparziale la figura del giudice e allontanando i processi dai talk show per eliminare le gogne mediatiche. Perché quando si parla di giustizia c’è una profonda divisione tra chi considera il processo mediatico un dramma del nostro paese e chi invece lo considera una virtù. Non è una riforma di destra (accusa mossa dalla sinistra), ma una misura sostenuta storicamente anche da figure simbolo della sinistra come Falcone, Pisapia e Martina. Serve a garantire un giudice davvero terzo e imparziale, come richiede la Costituzione. Ma oggi, per opportunismo politico, la sinistra rinnega battaglie che un tempo considerava sue.

Anche uno storico esponente della sinistra come Goffredo Bettini è d’accordo con la riforma. In un suo intervento sul Foglio ha detto che la vede come “un tentativo di avvicinarsi all’equità”. Bettini ritiene che la separazione delle carriere “non nasconde l’idea di fare guerra ai magistrati, ma vuole rimettere al centro il principio di equilibrio, che è il principio a cui si richiama la nostra Costituzione”. Come ha detto anche il viceministro Francesco Paolo Sisto in un’intervista al Foglio, la riforma “serve a garantire un giudice terzo, equidistante da accusa e difesa”. Sisto respinge le critiche dell’Anm che paventa una sottomissione del Pm al governo e critica anche l’idea che il consenso nei sondaggi legittimi la magistratura a rivaleggiare con Parlamento e governo.

“La riforma della separazione delle carriere non mi fa paura, perché non vedo in nessuna parte del disegno di legge uno stravolgimento della giustizia, oppure gravi ripercussioni per la tutela dei diritti dei cittadini, né tanto meno il rischio – che viene da paventato da qualcuno – di riduzione dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura”, ha detto al Foglio il procuratore di Parma Alfonso D’Avino.

“Sono assolutamente favorevole alla riforma costituzionale della separazione delle carriere, anche perché nel corso degli anni non si sono mai volute adottare soluzioni per mitigare la vicinanza tra pm e giudici che potevano essere fatte senza arrivare a una riforma così drastica”, sostiene invece Antonio Leone, membro laico del Consiglio superiore della magistratura dal 2014 al 2018.

Tuttavia, la riforma sulla separazione delle carriere tra giudici e pm è sì necessaria e coerente con la Costituzione, ma non sufficiente. Come spieghiamo qui, senza un riequilibrio complessivo dei poteri e una revisione dell’obbligatorietà dell’azione penale, si rischia di rafforzare un pm autonomo ma incontrollato. Per garantire la democrazia servono sia separazione che responsabilità e coordinamento istituzionale.

Contro la riforma si è sempre espressa l’Associazione Nazionale Magistrati (Anm), che ha denunciato i rischi per l’autonomia dei magistrati e le garanzie dei cittadini, ma non ha mai fornito argomentazioni concrete per difendere la propria posizione. Emblematica è stata la campagna di comunicazione dell’Anm contro la riforma. Qui spieghiamo quanto l’Anm in realtà dipinga scenari apocalittici senza argomentazioni concrete. La riforma non comprometterebbe l’indipendenza del Pm, ma segue modelli già adottati in democrazie consolidate come Francia, Germania e Spagna: questo rende le critiche dell’Anm poco credibili e ideologiche.

A esprimere perplessità riguardo la posizione dell’Anm anche il procuratore Rocanelli, ex consigliere del Csm. Come ha detto in un’intervista al Foglio: “È stato un errore la chiusura al dialogo da parte dell’Anm, una strategia suicida. Non sono contrario alla separazione delle carriere, purché resti garantita l’indipendenza del pm”.

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