Il trumpiano a un passo dalla Cnn e altri segnali bestiali. Questa crisi della democrazia fa di noi europei una stirpe invecchiata malamente di presuntuosi che hanno disimparato a parlare al popolo
Possiamo continuare a credere che la regalità windsoriana di Trump, uno spettacolo più che grottesco, è un’illusione ottica; che le prossime elezioni di mezzo termine sistemeranno le cose; che i danarosi e tecnologici alleati di The Donald King alla fine faranno un salto della quaglia come ha fatto Elon Musk; che riavremo i late show, riprenderemo a ridere del potere; e che questa cappa di piombo calata sul mondo si dissolverà come per incanto prima o poi. Intanto dobbiamo prendere atto di un fallimento gigantesco, quello delle classi dirigenti occidentali, e la presa d’atto vuol dire domandarsi il perché sapendo che non si è in grado di rispondere.
Ora pare che Larry Ellison, il più ricco, un ottuagenario di successo titolare di Oracle, insieme con il figliolo David, stia per prendersi, dopo la Cbs, la Hbo e la Cnn, due idoli del foro che verrebbero seduta stante murdocchizzati da un cash irresistibile, “good night and good luck”, e non si vedono limiti di sorta ai pieni poteri, qui invocati da dilettanti ridicoli, lì realizzati con un professionismo che minaccia ogni giorno nuovi organizzatissimi e puntuali sfracelli. Il fallimento del capitale editoriale progressista era venuto in evidenza con l’acquisto del Washington Post da parte di Jeff Bezos, ma era una quisquilia, un chip a basso prezzo per risultati loffi e improbabili. Campanello d’allarme, invece. Ora cadono le grandi e ricchissime e prestigiosissime istituzioni universitarie, pende sul New York Times una causa temeraria e intimidente da quindici miliardi di dollari per diffamazione del presidente, a terra come birilli gli host o anchor, i professionisti dei talk-show di seconda serata, l’estro della notizia, della news analysis, il vanto di generazioni di giornalisti dediti alla libertà di informare, tutto finisce in una pasticciata e brutta storia di impossessamento e di espropriazione da parte del potere politico di mandato senza limiti costituzionali e del cash flow più abbondante di sempre.
La crisi o degenerazione della democrazia non può solo essere trattata come un processo sistemico, è qualcosa che ci riguarda, che fa di noi europei, ora all’ombra del banchetto reale di Windsor e del sombrero di Melania, una stirpe invecchiata malamente di parrucconi e di presuntuosi che hanno disimparato a parlare al popolo e a difendere le istituzioni, una squadra di tecnici della sconfitta. Se ci comprano, se ci deridono, se ci mettono a tacere, se ci occupano la mente e il cuore con la loro grancassa rombante e secca, una ragione che ci riguarda dovrà pur esserci. Siamo carichi di scienza, allievi di Montesquieu e di Tocqueville, abbiamo presunto di fare la storia e la fine della storia, siamo abbarbicati alla divisione dei poteri, alla funzione dei parlamenti, al rule of law, alla libertà di parola, e sotto questa nostra prosopopea democratico-liberale rischia di non restare, a breve, quasi niente di serio e di solido.
A est il Patriarca Kirill benedice in nome di Cristo l’aggressore che procede sicuro e un mondo in rivolta impone le sue condizioni a Pechino, scappellandosi a una parata militare, a ovest un tipo ubuesque sparge il sale su ciascuna delle nostre ferite, strepita e minaccia, oppure fa il suadente e ci trattiene e rallenta, disponendo come vuole della nostra ormai flebile volontà politica, i volenterosi. Altro che crisi della democrazia, categoria politologica facile, qui c’è una dimensione di casta e personale, che riguarda tutti, di un clamoroso fallimento. Bisognerà cominciare a domandarsi come, chi, perché ci siamo ridotti così.