L’economista sostiene che l’”Italia merita un miglior rating grazie a stabilità politica, disciplina fiscale e ripresa della fiducia dei mercati”. Nonostante le incognite sulla crescita, i progressi strutturali e macroeconomici indicano un netto miglioramento rispetto al passato
Venerdì Fitch annuncerà il nuovo rating dell’Italia e sui mercati tira aria di promozione. Giada Giani, senior economista di Citi per l’Europa, ha previsto in tempi non sospetti la discesa dello spread a 80 punti e il riscatto dei paesi del Sud Europa. “Gli ex Pigs hanno dimostrato una forza strutturale inaspettata. Ha ragione chi vede in questa evoluzione la prospettiva di un’Europa più unita – dice al Foglio –. Si sono create le condizioni per una maggiore convergenza nell’area euro. In questo contesto, si vede lo spazio per un riconoscimento all’Italia dei progressi ottenuti in campo fiscale”. A Palazzo Chigi c’è grande attesa per il verdetto di Fitch, che si tramuterebbe in un successo per Giorgia Meloni. Ma la convinzione che l’Italia meriti una migliore valutazione internazionale è diffusa a vari livelli istituzionali. Non va dimenticato che qualche tempo fa anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha esortato le agenzie di rating a riconoscere i passi in avanti fatti dal paese. La speranza è che Fitch porti il suo rating da BBB a BBB+ con outlook positivo, allineandolo a quello di Dbrs e S&P e lasciando isolata Moodys (si esprimerà per ultima, a novembre) che mantiene il rating più basso (Baa3).
A prescindere da cosa deciderà Ficth, l’Italia merita di essere promossa? “Ci sono alcuni fattori che sui mercati stanno alimentando questa attesa – afferma l’economista –. Innanzitutto, si percepiscono non solo stabilità politica e prudenza fiscale da parte di questo governo, ma una presa di coscienza più generale del paese sulla necessità di mantenere il debito su una traiettoria di sostenibilità. E’ come se l’Italia nel suo complesso riuscisse a trasmettere il messaggio che dalla strada intrapresa di maggior rigore fiscale non intende tornare indietro, a prescindere da quale sarà il colore del futuro governo. Ovviamente, le elezioni sono lontane e tutto in futuro può succedere, ma il fatto che tutti siano consapevoli di quanto sia importante tenere sotto controllo il rapporto tra deficit e pil è un segnale che viene colto dagli investitori, che sono tornati a mostrare crescente interesse per i titoli del debito italiano”. In effetti, gli ultimi dati della Banca d’Italia mostrano che a giugno la quota di operatori esteri che detiene Btp è salita al 33,6 per cento. “Se si considera che questa percentuale a fine 2023 era scesa sotto il 20 per cento, rispetto al 50 per cento di paesi come Spagna e Francia, si capisce che sono stati fatti enormi progressi negli ultimi 18 mesi”. Ma lo spread sovrano si è ridotto anche perché gli altri paesi sono peggiorati. “In parte sì, ma direi che è soprattutto merito dell’Italia ed è come se i mercati avessero preceduto le agenzie di rating le quali, penso, dovranno prendere atto che la gestione attenta dei conti pubblici è stata supportata anche da alcuni fattori macro”. Quali? “Un mercato del lavoro che, grazie alle riforme che sono state fatte in anni precedenti, si è mostrato resiliente agli choc esterni e capace di generare maggiori entrate fiscali. Inoltre, il Pnrr ha spinto la crescita economica, ma soprattutto ha controbilanciato la fine del Superbonus edilizio. Il temuto crollo occupazionale previsto con il venir meno delle agevolazioni per le costruzioni, infatti, non c’è stato, mentre l’impatto sui conti pubblici è stato mitigato da altre entrate”.
Secondo Giani non c’è dubbio che il lascito dei crediti del Superbonus comporterà maggiori esborsi per lo stato ancora per alcuni anni “ma gli ultimi dati confermano che questa maggiore spesa viene almeno in parte compensata dall’aumento delle tasse derivanti da un settore che ha ricevuto una forte spinta alla regolarizzazione del lavoro”. Insomma, ci sono stati degli aggiustamenti che hanno aiutato il governo a tenere sotto controllo il disavanzo negli ultimi anni e hanno creato le condizioni per l’ulteriore miglioramento previsto per il 2025. In questo quadro, la grande incognita resta la crescita. La stessa Fitch, nel suo ultimo aggiornamento di aprile, richiama l’attenzione sui fattori che frenano lo sviluppo come la scarsa produttività e alcune riforme rimaste inattuate. “Se mi chiede se l’Italia deve ancora lavorare sodo, le rispondo di sì. Ma se ripensiamo a quella che fino a pochi anni fa era la percezione di un paese sull’orlo del baratro, questa è completamente cambiata. Il paese ha sorpreso per com’è uscito dal Covid e dagli altri choc e oggi, grazie anche alla capacità dimostrata dalla Bce di intervenire in momenti di crisi dell’Eurozona, è considerato affidabile e può giustamente aspirare a una valutazione più alta del suo merito di credito”.