Il consenso politico passa ancora dalla tv

Secondo i dati Istat sulla partecipazione politica, gli italiani si informano sempre meno. Ma la televisione è ancora regina

Le élite politiche si azzuffano dentro e fuori le coalizioni. Ogni occasione è buona per sventolare, secondo i dettami della nuova propedeutica elettorale, la propria identità meglio se visceralmente contrapposta al partito concorrente o, ovviamente, alla coalizione avversaria. Urlo, ergo sum. I giornalisti che sussidiariamente affollano i talk-show fanno pressapoco lo stesso pur di tener vivo il fuoco sulla brace. Ma se guardiamo ai numeri “il popolo degli elettori è emotivamente spento” (copyright di Nando Pagnoncelli). Non siamo in Francia e non solo perché da noi c’è la stabilità politica e i conti pubblici sono sotto controllo ma perché è differente la temperatura politico-sociale. Ce lo dicono i dati sfornati ieri dall’Istat a proposito della partecipazione politica degli italiani nel periodo tra il 2003 e il 2024.

La nazione – per dirla melonianamente – segue sempre con maggiore distacco le contese, le liti e anche l’ordinaria propaganda politica (e allora, viene da chiedersi, a cosa servono i sondaggi a scadenza settimanale?). Gli italiani si informano sempre meno e discutono di politica sempre e più raramente. I giovani sono completamente fuori dal giro. Gli strati più bassi (per titolo di studio) della popolazione seguono ancora meno. Nel 2003 si informava con regolarità sulla vicenda politica nazionale il 66,7 per cento degli uomini e il 48,2 delle donne rispettivamente -12,6 e -5,7 per cento. I livelli più bassi di partecipazione politica definita “invisibile” riguardano i giovani fino a 24 anni: i più giovani non si informano mai al 60,2 per cento e gli over18 solo per il 35,4 per cento.

Nonostante la totale diffusione di telefonini e smartphone solo 10,5 milioni di italiani seguono le notizie di politica attraverso i siti web e i social media. La tv è ancora regina come mezzo preferito ma ha perso 10 punti, dal 94 all’84,7 per cento. Dimezzata la quota dei quotidiani (dal 50,3 al 25,4 per cento). E’ disinteresse ancor più che sfiducia, sottolinea l’Istat. Che ci dà, in epoca di tanti scioperi generali o di categoria proclamati, il tasso di partecipazione a cortei e comizi: rispettivamente dal 5,7 al 2,5 per cento e dal 6,8 al 3,3. Non è tempo di emozioni.

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