Critica sì, odio no. Il sionismo è il nome storico del diritto all’autodeterminazione degli ebrei. La sinistra lo ricordi

Ci scrive Emanuele Fiano: “Il sostegno alle vittime palestinesi e la critica, anche durissima, al governo Netanyahu sono legittimi e doverosi in democrazia. Altro è demonizzare il sionismo”

Al direttore – Nessuno con un minimo di coscienza può restare indifferente al massacro del 7 ottobre 2023 e all’azione militare israeliana che da mesi travolge i civili di Gaza. Nessuno può astenersi dal ricercare ogni strada possibile per fermare le azioni militari e terroristiche, far liberare gli ostaggi e tornare a lavorare su di un futuro di pace tra israeliani e palestinesi. Questo però non autorizza, qui in Italia, il salto di qualità che stiamo vedendo negli atenei e non solo: la trasformazione del dissenso in intimidazione fisica. A Pisa, il docente Rino Casella è stato aggredito in aula da un gruppo di studenti che lo bollava come “sionista” e che ne ha impedito lo svolgimento della sua lezione. Episodi simili si moltiplicano: lezioni interrotte, conferenze impedite, docenti e studenti allontanati perché non allineati.


Non è libertà di espressione: è sopraffazione. Diciamolo senza giri di parole. Il sostegno alle vittime palestinesi e la critica, anche durissima, al governo Netanyahu sono legittimi e doverosi in democrazia. Altro è demonizzare il sionismo, che è – piaccia o no – il nome storico-politico del diritto all’autodeterminazione del popolo ebraico. Cioè pane per i denti di una cultura di sinistra che si fonda anche sul diritto all’autodeterminazione dei popoli. Quando l’antisionismo diventa negazione di quel diritto, lo scivolamento verso l’antisemitismo è immediato: dalla critica politica alla discriminazione etnica o religiosa. Qui sta il punto: alcune frange estremiste stanno usando lo sdegno per Gaza per alimentare un clima di violenza e di discriminazione che nulla ha a che vedere con la giustizia per i palestinesi o con la pace tra israeliani e palestinesi. Noi non possiamo tollerare nemmeno il primo centimetro di terreno ceduto a chi zittisce con le mani ciò che non sa confutare con le idee. La sinistra italiana, e in primis il Partito democratico, hanno il dovere di dirlo con chiarezza: nessuna indulgenza verso chi ricorre alla forza, nessuna ambiguità lessicale, nessun ammiccamento. La cultura dei diritti non contempla l’intimidazione; la libertà d’insegnamento e il pluralismo non sono negoziabili.



Chiedo quindi due cose semplici e immediate alla sinistra italiana dove milito. Primo: che i partiti democratici, a partire dal Pd, alzino la voce, parlino di più, aprano gli occhi su quello che sta succedendo, assumano una linea netta contro ogni forma di antisemitismo e antisionismo, vecchio e nuovo, e contro ogni abuso del termine “sionista” usato come insulto identitario. Secondo: che i movimenti studenteschi che si battono per la pace isolino, senza alibi, chi vuole impedire il confronto con la violenza. Al di là della solidarietà ai docenti aggrediti e agli studenti che hanno dovuto subire queste scene, serve una presa di posizione limpida: dissenso sì, violenza no. Si sostengano le vittime civili a Gaza, si lavori per la liberazione degli ostaggi e per il cessate il fuoco, si torni alla politica. Ma nelle università italiane non passi il messaggio che la forza difende i diritti. E’ così che si tengono insieme pace, libertà e democrazia.

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