Il Mef chiede alle banche di rinviare l’uso dei crediti fiscali: un sacrificio per la nuova Montepaschi che si prepara all’acquisizione di Piazzetta Cuccia. Intanto il progetto del “terzo polo” si sgonfia e Banco Bpm guarda alla Francia di Crédit Agricole
Ci mancava solo l’aiutino fiscale al governo Meloni per mettere alla prova la nuova Montepaschi la cui scalata a Mediobanca, confermano al Foglio fonti vicine a Siena, potrebbe costare 1,5-2 miliardi in più del previsto. L’ad, Luigi Lovaglio, non si aspettava di dover rispondere alla “chiamata” del Mef per dare un contributo alla manovra economica. In pratica, se il governo confermerà l’intenzione di chiedere alle banche il rinvio al 2027 dell’utilizzo dei crediti fiscali, il Monte potrebbe dover rinunciare per i prossimi due anni a un pezzo del tesoro di Dta che si liberano con l’acquisizione di Mediobanca (da 2 a 3 miliardi).
Sono gli effetti distopici del rapporto che questo esecutivo ha instaurato con un mondo, quello bancario, in cui a volte entra a gamba tesa, come nel caso del golden power su Unicredit-Banco Bpm, altre volte ne diventa gran regista, come nella scalata del Monte a Piazzetta Cuccia, e altre volte ancora tratta come se fosse un bancomat. C’è da dire che diversi analisti hanno già stimato che la misura, laddove fosse confermata, non pregiudicherà la redditività e la solidità delle banche, insomma avrà un impatto molto limitato, ma sembra un paradosso che a richiedere il sacrificio al Monte, impegnato in un’operazione finanziaria tanto delicata, sia uno dei suoi grandi azionisti, il Mef guidato da Giancarlo Giorgetti.
Nei giorni scorsi il ministro ha tenuto a sottolineare che il Mef non ha il controllo della banca senese (infatti detiene l’11 per cento), precisazione che non è passata inosservata in una fase in cui nessuno più parla di “terzo polo”. Questa definizione era stata battezzata proprio da Giorgetti ai tempi della mossa di Unicredit su Banco Bpm per spiegare perché il governo avrebbe preferito, invece, che la banca milanese convolasse a nozze con Mps. L’idea di una grande aggregazione del centro-nord (Mps, Mediobanca, Banco Bpm) per controbilanciare il peso delle prime due banche del paese, Intesa Sanpaolo e Unicredit, è stata accarezzata a lungo nelle stanze di Palazzo Chigi. Ma le cose sono cambiate. Il vento del terzo polo sembra indebolirsi per due ragioni.
La prima è che negli ultimi tempi si è diffusa la consapevolezza che gestire l’aggregazione tra Siena e Piazzetta Cuccia assorbirà molte energie e impiegherà almeno un paio d’anni per arrivare a regime. Mettere in pista un’altra operazione con Banco Bpm sarebbe inutilmente rischioso per quanto coerente con le ragioni manifestate per impedire che la banca milanese guidata da Giuseppe Castagna finisse nell’orbita del gruppo Unicredit guidato da Andrea Orcel. La seconda ragione, più di sostanza, è che la strada francese che sta intraprendendo Banco Bpm, con il gruppo Crédit Agricole che ha raggiunto il 20 per cento e ha già chiesto l’autorizzazione per salire oltre, incontra un certo favore a Palazzo Chigi (più, però, negli ambienti della Lega che di Fratelli d’Italia). A quanto si apprende, Giorgetti e Castagna si sarebbero parlati varie volte senza che emergesse una contrarietà del governo sul percorso di rafforzamento che si prepara a compiere il Crédit all’interno dell’istituto milanese. La prossima primavera sarà rinnovato l’attuale cda. Secondo il disegno che si starebbe delineando, la banca francese, potendo contare sul voto maggiorato previsto dal dl Capitali, potrà prendere in mano la governance ma confermando Castagna nel ruolo di ad (occorre, però, una modifica di statuto per recepire la norma del voto maggiorato: ma questo non dovrebbe essere un ostacolo).
Il senso industriale di tutta l’operazione sarebbe quella di mantenere Banco Bpm su un percorso di autonomia garantito dal socio francese con cui si condividono l’origine cooperativa e obiettivi e valori dell’attività bancaria (vicinanza ai territori, prestiti alle imprese e alle famiglie e così via). Insomma, questa sintonia di vedute sarebbe la chiave che ha spinto Giorgetti a superare la diffidenza mostrata generalmente dall’esecutivo nei confronti di tutte le altre aziende francesi che investono in Italia. Una prospettiva così supportata da Roma non può che scoraggiare Unicredit dal presentare una seconda offerta, sebbene questa voce sul mercato continui a circolare. Va detto che Unicredit, se ci volesse riprovare, troverebbe una banca molto più cara rispetto a quando ha avanzato la prima offerta a novembre del 2024. La capitalizzazione di Borsa di Bpm, infatti, è passata da 10 a 19 miliardi, con una crescita di 9 miliardi di cui 4 miliardi da quando Orcel si è ritirato a luglio.