Promessi 20 miliardi ma saranno solo 5, tra fuga di capitali e meno innovazione. Parlano Gollier e Levy
Roma. Il debito francese è salito al 116 per cento del pil e, dopo il declassamento di Fitch dei bond francesi da AA- ad A+, Parigi cerca cassa e credibilità. Possibilmente, insieme. Nel contesto della crisi politica francese e del tentativo di formare un nuovo governo da parte del premier designato Sébastien Lecornu, la sinistra riporta al centro del dibattito la “tassa Zucman”: un’imposta del 2 per cento sui patrimoni netti oltre i 100 milioni di euro, che riguarderebbe circa 1.800 famiglie più ricche. Ideata dall’economista Gabriel Zucman e fatta propria da socialisti ed ecologisti, la misura punta a ridurre il deficit e a rivendicare maggiore “equità fiscale”. I promotori della tassa Zucman stimano fino a 20 miliardi di euro di entrate, mentre sette economisti – tra cui Christian Gollier, direttore e fondatore Toulouse School of Economics – hanno già risposto su Le Monde che realisticamente il gettito non supererebbe i 5 miliardi, fra elusione e fuga di capitali. La polemica investe anche l’innovazione: Antoine Levy, economista della Haas School of Business a Berkeley, avverte che “le entrate sarebbero troppo deboli rispetto agli effetti indesiderati sull’economia”. Christian Gollier e Antoine Levy, in un colloquio con il Foglio, hanno messo in fila i punti chiave contro la patrimoniale sui super-ricchi.
E’ Christian Gollier a fissare i primi paletti. A suo avviso la tassa Zucman non replica le vecchie patrimoniali francesi, come la Impôt de solidarité sur la fortune (Isf), in quanto questa riguarderebbe solo i “super wealthy”, ossia quelle che Gollier chiama “le cinquecento famiglie”. Inoltre, la nuova tassa includerebbe gli asset aziendali e societari, che sono la parte più corposa dei patrimoni. “E’ una combinazione che alza il rischio di migrazione fiscale verso paesi più favorevoli ai grandi imprenditori”, dice Gollier citando anche l’Italia come ha fatto l’ex premier francese Bayrou. “E introduce un’architettura che nessuno ha ancora sperimentato con questa intensità proprio per questa ragioni”. Sugli asset aziendali insiste anche Levy: “Nella base imponibile rientrano quote d’impresa spesso illiquide. Un prelievo del 2 per cento sulle attività che non generano flussi equivalenti – ragiona l’economista – costringerebbe molti fondatori e proprietari a vendere ogni anno delle quote dell’azienda, con un effetto di confisca se cumulato nel tempo”. Inoltre, avverte: “Lo schema della tassa Zucman rischierebbe di scontrarsi con la giurisprudenza costituzionale francese” per la sua aliquota confiscatoria.
Quando si passa ai numeri, entrambi gli esperti sono molto netti: il gettito atteso è verosimilmente molto lontano dai 20 miliardi promessi. Antoine Levy considera “sospetta” la base da cui i sostenitori della tassa Zucman ricavano i 20 miliardi, in quanto “la base di calcolo si appoggia a classifiche patrimoniali mediatiche, talvolta gonfiate, e che includono non residenti. Le reazioni dei contribuenti (come l’ottimizzazione fiscale, rivalutazioni al ribasso, minore accumulazione, emigrazione) potrebbero far evaporare tra il 50 e il 75 per cento del gettito fiscale atteso: l’incasso reale si fermerebbe attorno ai 5 miliardi, metà dei quali da parte dei primi dieci contribuenti”. Poi chiarisce: “Rapportati a circa 1.700 miliardi di spesa pubblica e 160 di deficit, sono lo 0,3 per cento della spesa, o il 3 per cento del disavanzo pubblico: troppo poco per una tassa così distorsiva”. Gollier, più prudente sulle cifre, converge però sull’incertezza di fondo: “In assenza di esperimenti comparabili, l’impatto macro sarebbe certamente negativo, ma d’intensità ignota. E non è nemmeno garantito che il gettito netto aumenti grazie a questa misura”.
Il punto più sensibile resta l’innovazione. Qui, l’agenda industriale di Macron sull’Ia corre: il governo ha varato una roadmap, elaborata dalla commissione presieduta dall’economista Philippe Aghion, contenente raccomandazioni su competenze e finanziamenti. Mistral Ai, per esempio, è un unicorno parigino che sviluppa modelli linguistici. Nonostante non produca ancora utili, oggi vale circa 11,7 miliardi. Per Levy, però, il caso Mistral Ai rivela un difetto di disegno della proposta Zucman: “Tassare oggi la valutazione di imprese che ancora non producono utili significa applicare una doppia imposizione: ora sul valore atteso, domani sui profitti. E soprattutto, significa costringere i fondatori a cedere quote per pagare l’imposta, mettendo a rischio la possibileentrata di investitori. Sarebbe un colpo di grazia per molte startup e moltiplicherebbe gli esodi di talenti”, continua Levy ricordando che una quota ampia dei fondatori delle aziende unicorno francesi vive già negli Stati Uniti. Gollier poi sposta il focus su un quadro più ampio: “La Francia e l’Europa non hanno costruito un ambiente pro-impresa negli ultimi trent’anni: ci ritroviamo ora con produttività in affanno, credibilità militare in discussione, e un sistema educativo che delude le nuove generazioni”.
Alla richiesta di un’alternativa concreta alla tassa Zucman, Levy indica un modello meno distorsivo: “La Francia dovrebbe rielaborare il sistema tributario delle plusvalenze al momento della morte, cioè far pagare l’imposta sulle plusvalenze latenti quando il patrimonio passa agli eredi, eliminando il cosiddetto step-up”, che riallinea il valore di mercato al presente e azzera le plusvalenze. Per rendere il sistema tributario più “giusto”, Levy propone di “tassare meno i salari, spostando parte del prelievo fiscale sulle rendite fondiarie (da terreni e immobili), e di rimuovere gli incentivi normativi a detenere asset senza mai realizzare plusvalenze”. Il messaggio di Levy è più ampio: “Con un carico fiscale già tra i più alti in Ue e Ocse, la Francia non rimetterà in sesto i conti alzando le imposte. Serve una riduzione sostanziale della spesa sociale, in particolare per pensioni, disoccupazione e sanità.”. Su questo Gollier concorda: “Il dibattito sulla tassa Zucman ha finito per oscurare quello indispensabile sulla qualità della spesa pubblica. La priorità – dice – è ripristinare la valutazione del contributo sociale della spesa, e rimettere al centro la produttività”. Per Gollier la tassa Zucman è una cattiva notizia in questa dimensione: le disuguaglianze “sono rimaste stabili negli ultimi trent’anni”, a dispetto di una percezione che invoca la punizione delle “500 famiglie” per risolvere tutti i problemi francesi.
Tra prudenza contabile e ambizione industriale, il messaggio è chiaro: non esiste una scorciatoia (patrimoniale) per rimettere in sesto i conti pubblici. Questi possono essere raddrizzati solo con crescita e produttività, scelte fiscali coerenti, e una spesa pubblica contenuta e misurabile nei risultati.