“In nome di Kirk”. In ricordo del difensore della libertà d’espressione, i trumpiani fanno il contrario

Decine di persone sono state licenziate in seguito ai loro commenti online sulla morte del fondatore di Turning Point Usa. Che ne è stato delle lezioni trumpiane sulla libertà d’espressione?

L’Amministrazione Trump ha attivato una forza di vigilantes online che sta chiedendo di segnalare chi ha pubblicato online post e commenti contro Charlie Kirk, il fondatore di Turning Point Usa, la più influente e la più ricca organizzazione conservatrice che mobilita il mondo giovanile, ucciso la settimana scorsa durante un incontro con gli studenti dell’Università dello Utah. Chiunque abbia celebrato o motteggiato la morte di Kirk è considerato dal governo americano un complice della violenza politica. La Charlie Kirk Data Foundation, un sito che inizialmente si chiamava “Expose Charlie’s Murderers”, sostiene di aver ricevuto più di 60 mila segnalazioni. Decine di persone sono state licenziate in seguito ai loro commenti online, non soltanto nelle aziende private ma anche dipendenti federali e dell’esercito. Elon Musk, che nel 2023 aveva scritto sul social di sua proprietà X: “Se sei stato trattato ingiustamente dal tuo datore di lavoro perché hai pubblicato o messo ‘mi piace’ a commenti su questa piattaforma, finanzieremo le tue spese legali. Non ci sono limiti. Facci sapere”, ora sostiene la campagna per silenziare i critici di Kirk online. Il vicepresidente J. D. Vance, che è venuto in Europa a dare lezioni di libertà d’espressione accusando noi europei di essere diventati dei censori illiberali del dissenso (secondo lui, siamo più pericolosi della Russia), ha detto: “Quando vedi qualcuno che festeggia l’omicidio di Charlie, segnalalo. E chiama il suo datore di lavoro”. A febbraio, quando era stato sospeso Marko Elez, un dipendente del dipartimento per l’Efficienza, il Doge, il finto ministero creato e inizialmente guidato da Musk che tagliando i costi ha fatto pulizia ideologica nella pubblica amministrazione, per un suo post, Vance aveva detto: “Ovviamente non sono d’accordo con alcuni dei commenti di Elez, ma non credo che un’attività scema sui social debba rovinare la vita di un ragazzo”. Stephen Miller, il vice chief of staff della Casa Bianca che ha elaborato la politica anti immigrazione di questo governo, dando pieni poteri all’agenzia Ice, con un budget enorme e obiettivi di arresti quotidiani da raggiungere, ha fatto un passo ulteriore.

Denunciando un “vasto movimento terroristico interno” all’America, Miller ha detto: “Che Dio mi sia testimone, useremo ogni risorsa che abbiamo a disposizione nel dipartimento di Giustizia, nel dipartimento di Sicurezza nazionale e in tutte le agenzie governative per identificare, smantellare e distruggere queste reti, per rendere l’America di nuovo sicura per gli americani”. Gli strumenti, Miller, ce li ha: quando ha iniziato a operare il Doge di Musk, il setaccio ideologico (a volte esplicito, ma per lo più in nome dell’efficienza) ha fatto sì che ci fosse un accesso inedito e vasto ai dati degli americani. Non si è trattato di errori o di fughe di dati, ma di un metodo: incrociando le informazioni nei database dei vari dipartimenti si sono individuati gli immigrati illegali (e non solo). Ora questo stesso sistema viene e verrà applicato “in nome di Charlie Kirk”. La segretaria alla Giustizia, Pam Bondi, ha detto: “C’è il free speech e c’è l’hate speech e per quest’ultimo non c’è posto, soprattutto ora, soprattutto dopo quello che è successo a Charlie, nella nostra società. Vi prenderemo di mira e vi inseguiremo se state perseguitando qualcuno con l’hate speech”. Bondi ha anche aggiunto: “C’è libertà d’espressione, ma nessuno di quelli che hanno gettato odio su Kirk dovrebbe avere un lavoro. E voi datori di lavoro, voi avete l’obbligo di liberarvi di queste persone. Dovete guardare chi dice queste cose orribili: non dovrebbero lavorare per voi”. La ministra ha cercato di ritrattare le sue dichiarazioni, dopo che la Foundation for Individual Rights and Expression ha pubblicato un comunicato in cui dice che anche l’hate speech è protetto dal Primo emendamento e dopo che è circolato un post dello stesso Kirk, che l’anno scorso ha scritto su X: “Non esiste il discorso d’odio legalmente in America. C’è il discorso orrendo. C’è il discorso volgare. C’è il discorso malevolo. E sono tutti protetti dal Primo emendamento. Mantenete libera l’America”.

Il 7 luglio del 2020, Harper’s pubblicò “Una lettera sulla giustizia e il dibattito pubblico”, firmata da molti intellettuali, che denunciava una società intollerante che non riusciva più non soltanto a difendere ma nemmeno ad ascoltare opinioni diverse da quelle considerate arbitrariamente accettabili. Era una società di destra e di sinistra, ugualmente dedita a vietare libri, impedire ad autori di scrivere o di parlare in pubblico, a nomi o espressioni cambiate in testi antichi perché oggi suonano offensivi e così via. A lungo si è parlato della cancel culture di sinistra, ora si discute della cancel culture di destra (in questo caso con mandato del governo), ma l’intolleranza nei confronti delle idee altrui non ha partito: “La restrizione del dibattito – scrivevano i firmatari della lettera di Harper’s – sia da parte di un governo repressivo sia di una società intollerante danneggia invariabilmente coloro che non hanno potere e rende tutti meno capaci di partecipazione democratica. Il modo per sconfiggere le cattive idee è attraverso la discussione e la persuasione, non cercando di metterle a tacere”.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d’amore – corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d’amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l’Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell’Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi

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