La recensione del libro di Carlos Fonseca edito da Sellerio, 231 pp., 16 euro
Attraverso un espediente narrativo classico, quello della lettera proveniente da un luogo remoto, un uomo oramai maturo, insegnante di letteratura in un college americano, è costretto a fare i conti con un passato difficile, a partire dalle ragioni che avevano separato lui, Julio Gamboa, dalla sua migliore amica durante la giovinezza, Liza Abravanel, prima guerrigliera sandinista e poi agguerrita autrice di biografie e romanzi ecologisti.
Il messaggio arriva da Humahuaca, piccolissimo villaggio situato nel nord dell’Argentina al confine con la Bolivia, sulla sponda destra del Rio Grande. Lì, negli ultimi anni, Liza, colpita da un ictus che l’aveva resa muta, si era dedicata anima e corpo alla sua ultima opera, un romanzo intitolato Una lingua privata, di cui ora, dopo la sua scomparsa, chiede a Julio di curare la pubblicazione.
Il romanzo in cui Gamboa si immerge intreccia epoche e personaggi diversi, a partire dal padre di Liza, affascinato sin da giovane dalle ricerche sulla purezza di un antropologo tedesco, Karl-Heinz Von Mühlfeld, il quale a sua volta alla metà degli anni Sessanta era andato alla ricerca di una comune di fanatici dell’arianesimo, fondata alla fine dell’Ottocento nientemeno che dalla sorella di Nietzsche, Elizabeth, e da suo marito Bernhard. L’obiettivo di quella folle utopia era lasciarsi alle spalle l’impurità del vecchio mondo per ridare vita a una sorta di Eden; quello di Von Mühlfeld invece era esattamente l’opposto, ovvero dimostrare che è proprio la contaminazione la base di ogni cultura, e in questo modo “riscattare il passato imperdonabile che aveva segnato la sua infanzia”.
Questo articolato intreccio si dipana in modo imprevedibilmente scorrevole, grazie a un scrittura nitida, precisa, calibrata in ogni suo passaggio. Ne viene fuori un puzzle di riconoscibile marca latinoamericana, eppure per niente scontato perché non è ai funambolismi formali che Fonseca è affezionato, quanto piuttosto alla possibilità di svolgere in modo fruttuoso interrogativi sempre attuali: cosa sopravvive di una cultura, di una lingua, di un mondo che sta per essere distrutto per sempre? “Nel passaggio da una cultura a un’altra c’è sempre un residuo, anche se non resta nessuno a ricordarlo” è l’ambigua risposta di Von Mühlfeld, prima di perdersi nella follia. Ma Julio ne scoprirà un’altra nella quale memoria e oblio, Mnemosyne e Lete secondo l’antica sapienza greca, confluiscono come due affluenti in un unico, grande fiume, alimentandosi l’un l’altro e offrendo a noi, lettori-testimoni, una via d’uscita dalle nefaste utopie della modernità.
Carlos Fonseca
Austral
Sellerio, 231 pp., 16 euro