Allearsi con le zanzare per combattere la dengue

Per fronteggiare il più grande focolaio della sua storia recente, il Brasile ha investito nello sviluppo di un proprio vaccino e ha scelto una strategia di controllo vettoriale innovativa basata sulla diffusione di zanzare infettate con il batterio Wolbachia

In Italia la dengue è ancora una malattia rara, ma la sua presenza sta crescendo e non possiamo permetterci di ignorarla. Al 9 settembre 2025 sono stati confermati 134 casi, quasi tutti importati da viaggiatori di ritorno da aree endemiche, ma già quattro sono autoctoni: due episodi di trasmissione locale, uno sporadico e uno focolaio, rispettivamente in Emilia-Romagna e in Veneto. È il segnale che il virus ha trovato le condizioni per circolare anche qui, sfruttando la diffusione della zanzara tigre, ormai comune nelle nostre città e favorita da estati sempre più lunghe e calde.

Per capire perché questo fenomeno meriti attenzione, bisogna spiegare che cos’è la dengue. È una malattia virale trasmessa da zanzare del genere Aedes, soprattutto Aedes aegypti e, in misura minore, Aedes albopictus, la stessa che vive in Italia. Il virus ha quattro varianti, chiamate sierotipi, ciascuna capace di provocare la malattia in forma acuta. Dopo un’infezione primaria, il sistema immunitario protegge in modo duraturo da quel sierotipo, ma solo temporaneamente dagli altri. Se in futuro si viene punti da una zanzara portatrice di un sierotipo diverso, la risposta immunitaria può paradossalmente peggiorare la situazione e favorire la progressione verso forme gravi. La dengue classica provoca febbre alta, dolori muscolari e articolari, cefalea, nausea, un malessere generale che può durare una settimana. Nella maggior parte dei casi il paziente guarisce senza conseguenze, ma una frazione ridotta sviluppa la cosiddetta dengue grave, con sanguinamenti diffusi, perdita di plasma, danni a organi vitali e rischio di shock circolatorio. È in questi casi che la malattia diventa potenzialmente letale, con tassi di mortalità che possono arrivare al 10 per cento in assenza di cure adeguate, ma che si riducono al di sotto dell’1 per cento quando è disponibile un’assistenza tempestiva in ospedale. Il pericolo quindi non è trascurabile, e cresce con il numero di infezioni e con l’esposizione a più sierotipi.

Per questo non basta sorvegliare: serve agire in anticipo, guardando ai paesi che stanno affrontando il problema su vasta scala. Il Brasile, ad esempio, sta vivendo il più grande focolaio della sua storia recente: nel 2024 ha registrato 6,6 milioni di casi probabili e più di 6.300 decessi. La crisi è proseguita anche nel 2025, con numeri ancora elevati. Di fronte a un simile impatto, Nature riporta che il paese ha messo in campo un piano che integra più strategie. Da un lato ha investito nello sviluppo di un proprio vaccino, prodotto dall’Istituto Butantan. La decisione è stata anche una reazione alle difficoltà incontrate durante il picco del 2024, quando le forniture di vaccini importati, limitate e distribuite in modo disomogeneo, hanno lasciato ampie fasce di popolazione scoperte proprio nel momento più critico. Puntare su una produzione nazionale significa avere il pieno controllo della catena di approvvigionamento, assicurare continuità nella distribuzione, abbassare i costi e garantire una risposta più rapida in caso di nuove ondate. Il vaccino del Butantan, efficace contro i quattro sierotipi, ha dimostrato nei trial un’efficacia fino all’89 per cento nei soggetti già infettati e intorno al 74 per cento in chi non aveva mai avuto la malattia. L’obiettivo è arrivare a produrre 60 milioni di dosi l’anno, una quantità sufficiente a coprire la popolazione a rischio e creare scorte strategiche.

Accanto al vaccino, il Brasile ha scelto una strategia di controllo vettoriale innovativa basata sulla diffusione di zanzare infettate con il batterio Wolbachia. Questa non è una tecnica di eradicazione: le zanzare non vengono eliminate, ma rese incapaci o molto meno efficienti nel trasmettere il virus. Wolbachia è un batterio endosimbionte naturale, che non infetta l’uomo e che, una volta stabilito nelle popolazioni di Aedes, si trasmette verticalmente da una generazione all’altra. Nel tempo, la maggioranza delle zanzare in una determinata area diventa portatrice di Wolbachia, e il virus della dengue non riesce più a replicarsi efficacemente al loro interno, riducendo drasticamente la probabilità di trasmissione all’uomo. A Curitiba è stata costruita una biofabbrica capace di produrre circa cento milioni di uova di zanzara a settimana, che vengono rilasciate in modo pianificato finché la percentuale di zanzare infette supera la soglia necessaria per stabilizzarsi nella popolazione locale.

I dati raccolti finora mostrano che questa strategia funziona: nelle città brasiliane dove le zanzare con Wolbachia hanno raggiunto un’alta prevalenza, l’incidenza della dengue si è ridotta fino al 70 per cento rispetto alle aree di controllo, con un calo parallelo dei casi gravi e dei decessi. Esperimenti simili condotti in Indonesia e in Vietnam hanno dato risultati analoghi, con riduzioni sostanziali dei ricoveri ospedalieri per dengue. Il vantaggio di questa strategia è che, una volta instaurata, si mantiene da sola senza interventi continui, e riduce la necessità di ricorrere a insetticidi, con un impatto ambientale molto più basso.

Quello che il Brasile sta facendo è un esempio di risposta strutturata e lungimirante: unisce prevenzione immunitaria e controllo del vettore per abbattere i casi e alleggerire il carico sugli ospedali. L’Italia, che ha già visto le prime trasmissioni locali e ha tutti i fattori di rischio per una diffusione maggiore, può imparare da questa esperienza. Prepararsi ora significa investire in sorveglianza entomologica e clinica, rafforzare le capacità diagnostiche, pianificare l’uso di vaccini quando saranno disponibili e valutare strategie biologiche per ridurre la popolazione di zanzare infette. È un’opportunità per non arrivare al punto di contare migliaia di casi e dover agire in emergenza: possiamo farlo prima, risparmiando vite e risorse.

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