Il governo Meloni si prepara a chiedere di nuovo alle banche un anticipo fiscale da 3 miliardi per coprire le manovre del 2026-2027, posticipando le detrazioni. Una strategia, questa, che mostra forza contro i poteri finanziari, ma indica una crescente dipendenza dalle banche in assenza di vera crescita economica
Era nell’aria da settimane e ieri l’agenzia di stampa Bloomberg ha trovato le prime conferme: il governo Meloni busserà ancora una volta alla porta delle banche per finanziare il suo budget fiscale. Il piano prevede di raccogliere 3 miliardi per i prossimi due anni (1,5 miliardi per il 2026 e 1,5 miliardi per il 2027) rinnovando il meccanismo messo in pista lo scorso anno e che prevede il posticipo delle detrazioni fiscali per gli istituti di credito. In pratica, Palazzo Chigi ha trovato il modo per utilizzare le banche come si fa con la carta di credito: ogni anno si fa anticipare i soldi che mancano per coprire le spese della manovra economica ma che poi dovrà restituire quando i crediti fiscali potranno essere escussi. Si tratta per adesso di un’ipotesi di lavoro che non è ancora stata discussa dal Mef con gli operatori del settore ma che trova solido sostegno all’interno della coalizione governativa. In particolare, il leader della Lega e vicepremier, Matteo Salvini, ha detto chiaramente che le banche devono trovare il modo per rafforzare la posizione fiscale dell’esecutivo mentre il ministro del Tesoro, Giancarlo Giorgetti, cerca di apparire come chi intende rispettare l’impegno del suo collega di partito senza colpire troppo i “finanziatori”.
Insomma, Salvini e Giorgetti sono un po’ come il poliziotto cattivo e il poliziotto buono di questo governo che, dalla famosa gaffe sugli extraprofitti in poi, ha instaurato con le banche un rapporto controverso tra l’intervento diretto nel risiko (fusioni e acquisizioni ormai si decidono a Palazzo Chigi) ai “prelievi” forzosi autunnali che stanno ormai diventando una tradizione. Sicuramente, un approccio dirigista può essere presentato come una prova di forza nei confronti del potere finanziario e bancario e si presta a essere rivenduto come un modo per dare maggiore respiro a imprese e classe media, nei fatti, rischia di diventare una prova di debolezza e di dipendenza del governo dalle casse dei banchieri senza le quali, e in mancanza di una vera crescita economica del paese, i conti pubblici non tornerebbero.