Il trionfo di “The Pitt” e “The Studio”, e di Apple tv+. Il lanciatissimo Owen Cooper

Drammi da corsia, satire spietate e un talento quindicenne: questa è la nuova tv ai premi Emmy. Sullo sfondo ci sono attivismo, moda e nuove frontiere dello streaming

La vita è sceneggiatrice? Quasi mai, e quando succede è piuttosto scarsa. Migliora quando di mezzo c’è la televisione. Noah Wyle ha lavorato undici anni di fila in “E. R. – Medici in prima linea”. Era John Carter, studente di medicina all’inizio della serie, dove è rimasto per undici stagioni consecutive. Di ricca famiglia, che cerca di tenere nascosta, il primo giorno di lavoro sviene mentre fa pratica al pronto soccorso.

L’episodio è riproposto in “The Pitt”, che domenica sera agli Emmy ha fatto vincere a Noah Wyle il premio come migliore attore in una serie drammatica. L’entusiasmo per la serie – che ricorda “E. R.” ma è più cruenta, anche a causa del budget di produzione scarso, le ferite e i moncherini sono raccapriccianti – ha regalato il premio di miglior attrice non protagonista, e primo Emmy, a Katherine LaNasa, che ha così sbaragliato quattro colleghe di “The White Lotus”. E’ la caposala nell’affollatissimo pronto soccorso del Pittsburgh Trauma Medical Center. Per chi ci lavora, “the pitt”, suona come “pozzo”. Tecnicamente, la serie ha accresciuto la forza drammatica di un’ottima scrittura, lavorando in tempo reale: ogni episodio di un’ora (al netto della pubblicità) racconta un’ora di convulso lavoro, tra i letti che mancano e gli infermieri pure.

Per fortuna gli Emmy distinguono tra serie drammatiche e serie comiche. Sennò la satira di “The Studio” avrebbe avuto poche possibilità. Invece la serie con Seth Rogen (che l’ha anche scritta, insieme ad altri colleghi) ha vinto quattro premi: attore, regista, produttore e sceneggiatore. Non basta: quest’anno ne ha vinti in totale quindici, battendo “Severance” – ormai con il successo ha avuto diritto al titolo italiano “Scissione” – e “The White Lotus”. E ha battuto anche il record precedente di vittorie in una sola stagione che apparteneva a “The Bear”. Un trionfo per la piattaforma Apple tv+: le serie non sono il settore dell’azienda che porta a casa i soldi, possono permettersi di inventare, sperimentare, scontentare il pubblico che adopera la televisione per addormentarsi.

Accanto a Apple tv+, si è fatta notare Hbo Max, che appunto produce “The Pitt” (su Sky dal 24 settembre) e sbarcherà in Italia all’inizio del 2026 (dopo tanti falsi allarmi). Avrà in catalogo la nuova serie che ricomincia la saga del maghetto Harry Potter, e la produzione italiana, diretta da Marco Bellocchio, “Portobello”. Era targata Netflix, a dispetto di tutti i pronostici, la miniserie “Adolescence”. Ha vinto sei premi, è di produzione britannica (come lo era la miniserie “Baby Reindeer”, vincitrice l’anno scorso: una storia di stalking e di amor fou e soprattutto di conclamata follia), e ha fatto vincere un Emmy al quindicenne Owen Cooper. E’ l’adolescente del titolo, accusato di aver ammazzato una compagna di classe. La storia è raccontata da vari punti di vista, uno per episodio. Il giovanotto è già lanciassimo: sarà il giovane Heathcliff nel prossimo adattamento per il cinema di “Cime tempestose”. Da adulto sarà Jacob Elordi, dirige Emerald Fennell.



Dopo aver visto la collega Jean Smart vincere per quattro anni consecutivi – la serie è “Hacks”: anziana attrice in declino con giovane assistente – la giovane Hannah Einbinder ha vinto il suo primo Emmy. Ne ha approfittato per un bel proclama “Free Palestine”, aggiungendo che il suo cuore di ebrea glielo impone. La collega Megan Stalter si è presentata sul tappeto rosso in jeans e t-shirt, e una borsettaccia sportiva con scritto “ceasefire”. Il premio però – nella categoria “che brutto compiere 50 anni” – va a Javier Bardem: kefiah morbidamente annodata al collo (si vede la mano sapiente della costumista) e capelli tinti in quel che chiameremo “marrone Morandi”.

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