Mazhar al Wais ha un’immagine pubblica diversa dal suo predecessore. “Si è occupato troppo di malati durante la prigionia per parlare di religione o di legge”, dice chi lo conosce bene. Ma alcuni gli rimproverano mancanza di visione
Damasco. Abu Omar, capo di un dipartimento giudiziario della capitale siriana, ha indicato le donne sorridenti che entravano nel suo ufficio alla fine della giornata lavorativa per salutarlo. “Vi sembra che stiamo impedendo alle donne di lavorare?”, ha detto. Tra le varie impiegate e altre donne che sono entrate, solo una – una giudice – indossava il velo. Le altre erano vestite in modo casual, persino secondo gli standard occidentali, e apparivano chiaramente rilassate nella conversazione con Abu Omar, che aveva vissuto a Idlib prima di tornare nella periferia di Damasco, sua città natale, dopo la liberazione della capitale lo scorso anno. Dopo la presa del controllo, l’8 dicembre, della maggior parte del paese da parte delle forze sotto l’attuale presidente siriano Ahmad al-Sharaa, molti, sia tra la popolazione locale sia nella comunità internazionale, temevano una svolta verso un’interpretazione rigida della legge islamica. Avendo passato anni in una provincia divenuta sinonimo di “covo di terroristi” nella propaganda del regime siriano, i nuovi governanti si mostrano tuttavia inflessibili: non toglieranno alcun diritto. Al contrario: “Abbiamo restituito i diritti al popolo”, dicono.
Sharaa, precedentemente conosciuto come Abu Mohammed al Jolani, ha trascorso oltre vent’anni in gruppi considerati organizzazioni terroristiche, a partire da al Qaida in Iraq. Ha contribuito a creare Jabhat al-Nusra per combattere il regime di Assad nel 2012, gruppo che si è poi fuso con altri per formare Hayat Tahrir al Sham (Hts) nel 2017. Hts ha istituito il Governo di salvezza siriano nella provincia nord-occidentale di Idlib, sovraffollata di milioni di sfollati provenienti da altre zone della Siria e criticata per la repressione del dissenso. Tuttavia, veniva spesso elogiata sottovoce da molti per essere “meglio governata” rispetto al resto del paese frammentato. Dopo la presa di potere di dicembre e la formazione del primo governo, molti temevano che il passato dei governanti avrebbe portato al divieto per le donne di lavorare come giudici – o addirittura di lavorare accanto agli uomini. Un video di anni precedenti a Idlib è riemerso poco dopo la nomina del primo ministro della Giustizia del governo provvisorio siriano, insediatosi a dicembre. Nel video, il ministro Shadi al Waisi si vede pronunciare la sentenza di esecuzione di una donna accusata di prostituzione. Fa un cenno al boia di procedere, e la donna viene colpita alla testa. L’indignazione è esplosa in molti ambienti occidentali, così come tra i siriani. Ma alcuni giustificano questa e altre punizioni inflitte da Jabhat al Nusra in quel periodo. “Quelli erano tempi diversi. Era un contesto specifico e la sentenza era giusta: la donna aveva confessato. Andava fatto”, ha detto un funzionario governativo che ha chiesto l’anonimato, per il bene della comunità.
Il secondo ministro della Giustizia del nuovo governo, in carica dal 29 marzo, ha invece un’immagine pubblica decisamente diversa. Il ministro, Mazhar al Wais, proviene dalla provincia di Deir al-Zor, nella Siria orientale. Avendo studiato sia medicina sia legge, è stato accreditato da una delle persone intervistate dal Foglio – un ex compagno di prigionia nell’infame carcere di Sednaya – di essersi “occupato troppo dei malati all’interno per parlare molto di religione o di legge” durante il periodo di detenzione. Wais ha trascorso cinque anni in prigione ed è stato rilasciato nel 2013. Dopo la sua liberazione, è diventato capo dell’Autorità della Sharia nella sua Siria orientale natale, per poi trasferirsi a Idlib, dove è divenuto una figura religiosa di spicco all’interno di Hts. Da quando è diventato ministro, Wais ha incontrato numerose organizzazioni internazionali e diplomatici – incontri puntualmente annunciati sulla piattaforma X, dove pubblica spesso – e, per la maggior parte, ha fatto una buona impressione. Ha rifiutato ripetutamente richieste di interviste con la stampa.
Diversi siriani rientrati dall’estero e oggi attivi nel governo o nei suoi dintorni hanno espresso al Foglio, nelle ultime settimane, frustrazione per la presunta “mancanza di visione” del ministro. Altri sottolineano che c’è semplicemente moltissimo da fare in un paese che esce da decenni di regime autoritario profondamente corrotto. “Almeno è umile”, ha detto un altro, suggerendo che questa qualità possa essere la medicina per le ferite di un paese in cui migliaia di persone risultano disperse, probabilmente sepolte in fosse comuni senza nome.