Chi vuole Israele fuori dallo sport si ricordi di Owens-Long a Berlino ’36

Monito per chi vorrebbe gli israeliani fuori dalle competizioni sportive solo per il fatto di essere israeliani e per gli orrori commessi dal loro governo a Gaza. Ma gli atleti non possono esserne infettati, e chi li maledice non sa nulla del vero significato dello sport

Per quanti di noi italiani che amano lo sport sono stati dieci giorni da non dimenticare. Il campionato mondiale di pallavolo femminile che ha visto trionfare la Nazionale femminile italiana guidata dal maestro Velasco, la finale a New York di uno dei quattro slam del tennis dove purtroppo un Jannik Sinner purtroppo irriconoscibile è stato battuto nettamente dal diabolico Carlitos Alcaraz, le medaglie d’argento di Nadia Battocletti e di Antonella Palmisano in due corse mondiali, il mirabolante derby tra i due fratelli Thuram (l’uno con la maglia della Juve, l’altro con la maglia dell’Inter) chiusosi con un fantasmagorico 4-3 a favore del bianconero. E seppure il calcio italiano sia divenuto uno sport minore, dove mettono tristezza quelle nostre squadre in cui gli italiani sono due o al massimo tre su undici.



Ovviamente sono le truppe al femminile di Velasco quelle che hanno portato noi spettatori in paradiso, un paradiso fatto di schiacciate, muri, palleggi squisiti in attacco ma anche in difesa. E non è che giocassimo la finale mondiale contro una nazionale mediocre. Quella Turchia lì sembrava fatta di acciaio, e c’era di che rabbrividire quando la loro schiacciatrice regina Melissa Vargas portava i suoi capelli di un colore fra il biondo e il rosso e il suo metro e 93 di altezza in cielo per poi bombardarci con una delle sue schiacciate.



Credo che per pochi italiani il fare sport sia stato decisivo come lo è stato per me. E’ nelle palestre che ho imparato a sopportare la sconfitta, a prendere atto che in quello che stavo facendo c’era uno (o meglio tanti) più bravo di me, è lì che ho visto i due avversari abbracciarsi alla fine dello scontro com’è stato di Sinner e Alcaraz nella partita finale dello slam disputato a New York. E dire che si trattava di scontri alla morte, non di quelle zuffe miserevoli di cui è zeppa la politica dei nostri partiti e il linguaggio della nostra classe politica.



E poi c’è che lo sport mette assieme le nazioni anche se opposte sul piano politico, fa dialogare le generazioni, avvicina e confronta uomini di etnia e lingua diversissime. Non c’è stata porcheria più grande di quelle due Olimpiadi rispettivamente di Mosca (1980) e di Los Angels (1984) disertate per motivi politici rispettivamente dagli americani e dai russi. Dobbiamo all’intelligenza e alla tenacia di Nicola Pietrangeli e Adriano Panatta se la Nazionale italiana di tennis non vi aggiunse una terza porcheria col non andare alla finale di Coppa Davis che si sarebbe disputata in Cile, e questo perché in quel momento vi agivano squadre di torturatori che infierivano sugli avversari del governo di Augusto Pinochet. Che c’entra il fatto che in Cile dominasse un efferato dittatore con l’arte raffinata e leale di scaraventare le palline del tennis nel campo dell’avversario?



Pensate a quell’episodio del 4 agosto 1936 che fa leggenda nella storia dello sport del Novecento. Siamo a Berlino, alle eliminatorie per la finale del salto in lungo maschile alle Olimpiadi del 1936. Il saltatore americano, un nero di nome Jesse Owens, fa due nulli consecutivi. Se fallisce il suo terzo salto è fuori dall’Olimpiade. Gli si avvicina l’atleta tedesco Carl Ludwig Long, che compete anche lui al titolo (in quel momento vanta il miglior risultato della semifinale), il quale dice a Owens che nel battere sulla pedana alla fine della rincorsa lui commette un qual certo errore. Owens ne tiene conto, salta da come gli ha consigliato Long, entra in finale dove sarà il primo atleta al mondo a superare gli otto metri. Medaglia d’oro. Da soldato tedesco che sta combattendo contro gli americani, Ludwig Long morrà trentenne in combattimento in Italia il 14 luglio 1943. Nel Dopoguerra, Owens farà di tutto per incontrare la famiglia dell’amico scomparso, al punto di riuscire a partecipare al matrimonio del figlio di Long.



E in tema di porcherie c’è il momento politico attuale dove qua e là persino nello sport c’è chi insorge contro gli atleti israeliani per il fatto di essere israeliani e perché il loro governo di orrori a Gaza non è che ne stia facendo pochi. Ne vengono infettati attori israeliani, musicisti che amano Israele, atleti che portano la maglia della nazionale israeliana e che vengono tutti additati al ludibrio. Girano per le strade (non soltanto italiane) cortei di giovanotti che maledicono tutto ciò che sa di Israele. Solo che è gentaglia che non ha niente a che vedere con lo sport e con le sue dispute leali di cui ho detto prima. E’ soltanto feccia.

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