Ascoltare o cancellare? Cronaca di un convegno a Napoli “secretato”: una fotografia utile per smascherare alcuni tic illiberali del pensiero progressista in Italia. Le parole dell’ex premier israeliano Olmert e dell’ex ministro degli Esteri dell’Anp Al-Kidwa
Si può essere dalla parte dei palestinesi innocenti trucidati a Gaza senza alimentare l’antisemitismo? Si può essere dalla parte dei pro Pal con la testa sulle spalle senza dover assecondare la descrizione di Israele come la culla del nuovo nazismo? La storia che vi stiamo per raccontare non riguarda Israele, pur nascendo da un dialogo su Israele, ma riguarda una serie di tic, di tabù, di cortocircuiti, di follie e di atti di estremismo puri, anche politici, attraverso i quali è possibile capire cosa non funziona nel dibattito pubblico italiano, quando si parla di medio oriente, quando si parla di Gaza, quando si parla della tragedia di una guerra brutale intorno alla quale non è più accettato alcun altro pensiero se non quello che porta a considerare Israele l’emblema di un nuovo nazismo. La storia che vi stiamo per raccontare ha come teatro Napoli, città divenuta durante la resistenza al nazifascismo medaglia d’oro al valore militare, e riguarda un dibattito ambizioso, organizzato dal nostro amico David Parenzo. Un dibattito immaginato per mettere insieme voci originali in grado di discutere intorno al futuro del medio oriente con l’obiettivo di mettere a nudo alcuni tabù. Tra gli ospiti d’onore del dibattito, inizialmente pubblico, vi erano Ehud Olmert, ex premier israeliano, progressista, nemico giurato di Benjamin Netanyahu, e Nasser Al-Kidwa, ex ministro degli Esteri dell’Autorità palestinese, nemico giurato di Hamas.
La storia del convegno, e le parole di Olmert in particolare, è una fotografia interessante, e utile, per provare a smascherare alcuni tic illiberali del pensiero progressista, in Italia, rispetto al tema del dibattito intorno al futuro del medio oriente per almeno due ragioni. La prima ragione riguarda l’iter del convegno. Inizialmente, data anche la qualità dei relatori, il comune di Napoli, nella persona del sindaco Gaetano Manfredi, sindaco in ascesa nonché presidente dell’Anci, aveva scelto di dare il suo patrocinio all’evento. Il dibattito, inizialmente, avrebbe dovuto essere organizzato a Capodimonte, nella giornata di domenica 14 settembre. Con l’avvicinarsi della data, alcuni pro Pal esagitati, per fortuna non lo sono tutti, hanno smosso i social promettendo battaglia contro l’evento, con l’obiettivo dichiarato di farlo saltare. Ragione: Olmert e chiunque rappresenti il pensiero di Israele non sono graditi in città. A cavalcare la protesta è stato, legittimamente, l’ex sindaco di Napoli Luigi De Magistris, che ha chiesto a gran voce al suo successore, Manfredi, di sfilarsi dall’evento. Il sindaco di Napoli, che nonostante le apparenze si chiama Manfredi e non De Magistris, ha scelto al primo “buu” di ritirare il patrocinio. Successivamente, vista la tensione attorno all’evento, gli organizzatori hanno scelto di rinunciare alle sale di Capodimonte, considerando che per rendere sicuri gli spazi Capodimonte sarebbe dovuto restare chiuso al pubblico per quarantotto ore, e alla fine il convegno si è fatto, con tutti gli ospiti, tranne il coraggiosissimo Maurizio De Giovanni, scrittore di livello, intellettuale di spessore, che di fronte alle legittime e sobrie richieste di alcuni manifestanti, “Olmert è un sionista che va cacciato dalla città”, ha scelto di sfilarsi, per evitare polemiche. Il convegno si è infine svolto domenica, in un luogo non comunicabile, il cui accesso è stato consentito solo a una parte delle persone che ha fatto richiesta di partecipare, e la storia del convegno è doppiamente interessante non solo per quello che poi si è ascoltato ma anche per le ragioni che hanno portato a boicottarlo. I manifestanti, i pro Pal, e i politici con la schiena curva che hanno scelto di assecondare le richieste dei boicottatori, non chiedevano di cancellare un evento in difesa di Israele. Chiedevano di boicottare un evento in cui si discuteva di Israele con un ex premier israeliano contrario alla linea politica che ha oggi Israele, compiendo dunque un salto di livello notevole: a dover essere cancellati dal dibattito pubblico, secondo i più esagitati pro Pal, non tutti per fortuna, non devono essere solo coloro che si augurano che la guerra in medio oriente non finisca con una vittoria di Hamas ma anche tutti coloro che in qualche modo rappresentano Israele, anche i critici di Netanyahu, come Olmert. Il fine dunque non è la cancellazione di una posizione, ma il dibattito intero, perché discussioni non ci devono essere, non si può non chiamare il dramma di Gaza genocidio, non si può parlare di antisemitismo quando vi è un dramma nella Striscia, non si può dare la parola a un israeliano per ragionare sul futuro del medio oriente, perché essere israeliani è essere di parte e chi è di parte in questo conflitto non ha cittadinanza, deve essere cancellato. E il dramma ulteriore è che i boicottatori, se avessero scelto di ascoltare piuttosto che boicottare, avrebbero potuto raccogliere, da Olmert, e anche dall’ex ministro degli Esteri dell’Anp, numerosi spunti di riflessione, per ragionare sul passato, sul presente e sul futuro del conflitto in medio oriente. Avrebbero potuto ascoltare, dalla bocca di Al-Kidwa, le ragioni per cui per dare un futuro a Gaza occorre fare qualcosa per non dare un futuro al terrorismo. E avrebbero soprattutto potuto ascoltare da Olmert quali sono alcuni buoni argomenti per criticare la guerra di Israele senza delegittimare Israele, poggiando i piedi della critica un passo prima del precipizio dell’antisionismo, che spesso, non sempre per fortuna, fa rima anche con antisemitismo. Avrebbero potuto ascoltare, da Olmert, che ha dialogato con chi vi scrive, un buon argomento per criticare da sinistra la guerra di Netanyahu: considerare chiunque critichi l’azione di Israele oggi come un antisemita è sbagliato, è un errore, ma quando vi opponete al governo israeliano, cosa che non dovete esitare a fare, se lo volete, ricordatevi sempre di non demonizzare Israele e il popolo israeliano. Avrebbero potuto ascoltare questo, da Olmert, ma avrebbero anche potuto ascoltare altro. Per esempio, come dice Olmert, la necessità di ragionare attorno alle critiche su Israele riconoscendo che una parte delle critiche riguarda il governo di oggi e un’altra parte riguarda l’antisemitismo. “Ci sono gruppi di critici di Israele, persone che sono sempre state eque, oneste, intellettualmente giuste, persone che forse non hanno mai apertamente sostenuto, non hanno necessariamente condiviso la creazione dello stato di Israele, ma che sono state sempre aperte mentalmente. E ora proprio questo gruppo, queste voci sono molto critiche, sono aspramente critiche ed esprimono questo dissenso perché non sopportano quello che vedono, non sopportano quello che sentono, non sopportano la retorica del governo e questa narrazione, la narrazione del governo Netanyahu e le sue decisioni, le sue scelte. E quando ascolto queste voci, queste critiche, allora davvero mi rattristo moltissimo. E sento addirittura di poter essere d’accordo in alcuni casi con queste critiche”. Ma accanto a queste, dice Olmert, c’è anche un altro gruppo, “che ha sempre criticato Israele, qualunque cosa Israele abbia fatto o faccia. In qualche modo c’è sempre stato un atteggiamento di critica da parte di questo gruppo nei confronti di Israele. Partito preso, vuoi per una non condivisione di alcune scelte politiche o, diciamolo, anche per antisemitismo, perché in qualche modo dobbiamo anche essere consapevoli che, come dire, anche se io ormai quasi non ci faccio più caso, è comunque una realtà che permane: un certo antisemitismo anche forse non consapevole. Sono gruppi, sono voci che si sentono in tutto il mondo, non solo in Europa. Diciamo che dobbiamo in qualche modo riconoscere che l’antisemitismo è stato e probabilmente sarà sempre parte delle nostre vite, delle nostre tradizioni e alcuni – non tutti perlomeno – non ce la faranno a essere esenti da questo pregiudizio”. Avrebbero potuto ascoltare queste differenze sottili, non necessariamente condivisibili, ma utili a impostare un’argomentazione seria, non demagogica, e avrebbero potuto anche osservare la figura di Olmert, un ex premier critico con l’attuale premier, come il simbolo dello scandalo che oggi Israele rappresenta, nonostante la tragedia di Gaza, e che per questo, essendo uno scandalo, deve essere rimosso: un simbolo di democrazia, dove si può discutere quello che fa il capo di un paese senza aver paura di essere condannati alla gogna, almeno nel proprio paese. Immagino che lo sappiate, ha detto ieri Olmert, “ma non c’è nessun altro paese al mondo come Israele dove da due anni a questa parte ogni giorno c’è una manifestazione. Ci sono migliaia, decine di migliaia, talvolta centinaia di migliaia di persone che scendono per le strade a protestare contro il governo, contro le sue politiche, a chiedere la fine della guerra, la liberazione degli ostaggi e la fine di questi attacchi contro Gaza, il cui eventuale potenziale obiettivo comunque non vale la vita di tutte le vittime, non vale il costo che tutti stiamo pagando”.
Olmert, rispetto ai temi legati all’attualità, al protrarsi del conflitto, non crede sia possibile spingere Hamas a restituire gli ostaggi con una guerra, pensa sia vero il contrario, ovvero che gli ostaggi potrebbero essere liberati solo nel momento in cui Israele dovesse decidere di far finire il conflitto, ma pensa comunque che sia necessario fare in un secondo momento quello che in molti demagogicamente vorrebbero oggi: “Se si riuscisse a insediare una forza di sicurezza insieme a un governo a Gaza, allora pian piano si potrebbero creare le condizioni perché le nostre comunità siano pronte a compiere il passo successivo: un dialogo, una discussione aperta tra Israele e l’Autorità Palestinese per realizzare la soluzione dei due stati. Successivamente, un confronto più ampio con altri attori della regione: Israele, Palestina, Giordania, Emirati, Egitto, fino a coinvolgere anche le altre comunità islamiche del mondo, come per esempio l’Indonesia”. Ci si potrebbe chiedere quali sono le ragioni per cui un dialogo sul futuro del medio oriente, in generale, con ospiti israeliani, debba essere boicottato, specie da un bravissimo sindaco che dovrebbe forse trovare un modo per raddrizzare la sua schiena. Ci si potrebbe chiedere quali sono le ragioni per cui discutere in modo problematico, non scontato, imprevedibile, di Israele e di Gaza, possa essere uno scandalo, anche con queste argomentazioni. E la ragione è lì sotto i nostri occhi. Di fronte al conflitto in medio oriente lo scandalo non è soltanto criticare Israele senza demonizzare ciò che Israele rappresenta. Lo scandalo oggi è considerare eretici da cancellare tutti coloro che ragionando sul futuro del medio oriente auspichino semplicemente la non vittoria di Hamas, auspichino di criticare Israele senza demonizzare la storia di Israele e auspichino di ricordare che criticare Netanyahu è un conto, trasformare l’antisionismo in un surrogato più presentabile dell’antisemitismo è un altro. E dunque le domande sono quelle da cui siamo partiti. Si può essere dalla parte dei palestinesi innocenti trucidati a Gaza senza alimentare l’antisemitismo? Si può essere dalla parte dei pro Pal con la testa sulle spalle senza dover assecondare la descrizione di Israele come la culla del nuovo nazismo? Di fronte a queste domande le scelte sono due: cancellare o ascoltare. Scegliere da che parte stare, forse, non dovrebbe essere così difficile.