La casa va a fuoco, ma internet funziona ancora

Il contesto globale non aiuta: guerre, disastri climatici senza precedenti, e ora anche l’AI generativa. Così succede che ci si ritrovi a leggere un articolo su droni sulla Polonia e rischio nucleare, e subito sotto fai il quiz: staresti bene con la frangetta?

Datemi, vi prego, un decifratore della storia, adesso. Al telegiornale non mettono più nemmeno la sigla edizione straordinaria ché tanto è straordinaria ormai da mesi, chi lo indovina quando una cosa è più grave dell’altra è bravo. Non sappiamo cosa dire dei droni russi abbattuti in Polonia, dell’art. 4 Nato, degli omicidi politici come niente fosse in America – hanno sparato a un comizio, così, all’improvviso. C’è il morto, che facciamo? Intanto procediamo a commentare sui social, poi si vede. Qui – ce ne siamo ben accorti – è tutto e tutto insieme, la casa va a fuoco e non si può scappare. Non siamo adatti, si capisce. Noi siamo padri madri e figli inetti, dai boomer ai zeta, una generazione collettiva impreparata, pasciuti con la mangiatoia bassissima, anzi a terra, sempre piena. Guardateci. Siamo fatti della stessa sostanza del benessere grasso. Ci contiamo i like a tutte le età. Che ne sappiamo di guerre, di clima teso, di rischio atomico?

Qui si viaggia male e a vista sotto due atmosfere. Abbiamo la vecchia vita, quella sdraiata sui divani, la sera, davanti alla televisione. Prevalentemente online. Quella con i giornali zeppi delle notizie che piacciono a noi, le corna del Ceo americano in mondovisione Kiss Cam e il problema della privacy, Taylor Swift che si fidanza guardate l’anello, quanto sarà costato? Sarà per caso immorale? Bersani che dice che con Elly Schlein si sta benissimo a sinistra, mai stati meglio, contenti e fiduciosi, pare Disneyland, se voti PD si vincono i biglietti per il concerto nuovo degli Oasis o qualcosa del genere. Non c’è serietà da nessuna parte, nemmeno pagando. Risolutezza manco a parlarne. Noi al massimo, messi così, possiamo occuparci del nostro stress da rientro e del malinconico mese di settembre. Non sappiamo gestire l’ora solare che in autunno ci mette l’uggia, come si pretende da noi gestire un rischio di guerra e relative preoccupazioni?


La scelta che si pone è la seguente: ci mettiamo tutti seduti e conserti e con le teste fasciate, a parlarci di quanta paura è necessario avere o continuiamo così, a eludere i temi che contano, col vago pensiero: ma sarà il caso di parlare di [fesseria], mentre il mondo va a ramengo? E se facessimo entrambe le cose?


C’è un nome, si dice sul Guardian, per questo passaggio. La comica Ashley Bez aveva pubblicato un video su Instagram: la si vede fissare la camera con un’espressione assente, mentre cerca le parole per descrivere la cappa emotiva dov’è finita. “Ma perché sembra tutto così…?”, dice, lasciando la frase in sospeso con un’espressione stranita. La risposta è arrivata da Rahaf Harfoush, antropologa: “Benvenuta nel club dell’iper-normalizzazione. Mi dispiace per te”.


Ipernormalizzazione racconta con precisione i mala tempora che corrono, con questa bella arietta radioattiva. Il concetto (2005) è dello studioso Alexei Yurchak, descrive la sensazione dei cittadini sovietici negli ultimi anni dell’URSS: vivere in una realtà dove tutti sapevano che il sistema era ormai fallito, ma si continuava a far finta di niente.

Il contesto globale non aiuta: guerre, disastri climatici senza precedenti, e ora anche l’AI generativa che promette la centesima rivoluzione dell’industria e altrove: il lavoro, l’informazione, persino l’amore. E così succede che ci si ritrovi a leggere un articolo su droni sulla Polonia e rischio nucleare, e subito sotto fai il quiz: staresti bene con la frangetta? L’iper-normalizzazione è questo: la convivenza tra l’inaccettabile e il quotidiano. È la sensazione di essersi svegliati in una linea temporale alternativa, con il corpo che sa che qualcosa non va e niente a disposizione per sistemarlo. Lo sfascio emotivo ormai è indistinguibile da una presa di coscienza fattiva dell’emergenza. Che dobbiamo fare? Come ci dobbiamo sentire? Chiedeteci tutto ma non diteci che serve coraggio perché non l’abbiamo e nemmeno ce lo possiamo dare.

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