Intervista alla presidente della Fei, la Federazione Esperantista Italiana: “Scopo dell’esperanto è essere una lingua per tutti e di nessuno, non etnica ma etica. Un veicolo per la comprensione e la pace”
Sarà pur stato un utopista il medico polacco Ludwik Lejzer Zamenhof, ebreo e convinto sionista che partecipò attivamente al dibattito sui destini del suo popolo tra fine Ottocento e inizi Novecento. Sarà stato un utopista perché vagheggiò la pace attraverso una lingua artificiale, però una cosa è certa: l’esperanto, idioma “neutro” che creò per favorire il dialogo internazionale, dopo circa centoquarant’anni è ancora vivo e praticato nel mondo. Senza avere una nazione, ma appartenendo a coloro che lo parlano e tutti accomunandoli.
Laura Brazzabeni, mantovana, docente di lingua inglese è presidente della Fei, la Federazione Esperantista Italiana fondata a Firenze nel 1910. La sua passione sbocciò quando studiava all’università di Verona e da allora l’ha sempre coltivata e approfondita.
Qual è lo scopo dell’esperanto?
Essere una lingua per tutti e di nessuno, non etnica ma etica. Un veicolo per la comprensione e la pace come voleva Zamenhof. Il suo obiettivo non era sostituire gli idiomi nazionali ma valorizzarli, senza che uno prevalesse sugli altri, grazie alla neutralità dell’esperanto. Il sogno è che venga studiato nelle scuole non come lingua straniera, ma quale strumento per favorire il dialogo tra i popoli.
Difficilmente potrà sostituire l’inglese come lingua franca.
Anche se insegno inglese, ritengo incontestabile che la sua egemonia rappresenti uno svantaggio culturale per chi non lo parla come prima lingua. L’esperanto invece è un ponte super partes.
Dalla sua nascita nel 1887 come ha aggiornato il vocabolario? Nell’italiano come in altre lingue la tecnologia ha introdotto numerosissimi neologismi, soprattutto dall’inglese. Come varia il lessico dell’esperanto?
Come ogni lingua viva deve fare i conti con i nuovi termini, ma vengono esperantizzati. I neologismi passano al vaglio di un’Accademia internazionale, che ha lo scopo di proteggere la lingua e controllarne l’evoluzione. Si cerca di rendere i vocaboli, una volta accettati, nella forma più comprensibile anche per chi non appartiene al contesto indoeuropeo.
Qualche esempio?
L’esperanto è agglutinante e fa largo impiego di prefissi e suffissi. Per esempio computer è tradotto komputilo, ossia lo strumento che permette di computare, smartphone è portebla telefono e talvolta si utilizzano perifrasi: ospedale oltreché hospitalo si traduce malsanuleio perché è più intuitivo per un parlante asiatico.
Dove si parla esperanto?
Ci sono esperantisti un po’ in tutte le nazioni. Un tempo si diffuse in Cina e Giappone perché chi non conosceva l’alfabeto neolatino cercava un modo semplice per abbordarlo. Oggi si sta espandendo nei paesi dell’Africa subsahariana. All’ultimo congresso internazionale, tenuto in Serbia, avrebbero voluto partecipare una cinquantina di insegnanti africani ma non hanno ottenuto il visto d’ingresso.
Quanto è diffuso in Europa?
Prima lo era di più nei paesi dell’Est, ora c’è un movimento importante anche nel Regno Unito come in Germania, Francia, Spagna, Austria, Italia. I progetti Erasmus sono accettati anche in esperanto e allo scorso congresso nazionale a Salsomaggiore Terme abbiamo registrato ospiti da ventuno nazioni.
Quanti sono gli esperantisti italiani?
Gli iscritti alla nostra federazione sono sui 500, ma quelli che studiano la lingua sono molti di più. Dal 1997 a oggi abbiamo rilasciato circa 16 mila certificazioni tra il livello A2 e il C1. Abbiamo anche varato una iniziativa didattica rivolta agli insegnanti, soprattutto delle superiori, che in trenta ore possono acquisire le basi dell’esperanto e introdurlo nelle classi, per esempio a integrazione dell’educazione civica o come stimolo all’interculturalità e a viaggiare utilizzando i canali esperantisti nel mondo.
Come procede la produzione editoriale in esperanto?
Oltre alle opere didattiche si contano parecchi classici della letteratura. Di recente è stato pubblicato in esperanto “Uno, nessuno e centomila” di Pirandello, così potranno leggerlo anche dove non è tradotto nelle lingue nazionali.
Quanta letteratura originale in esperanto è trasposta in italiano?
Ai curiosi consiglio il celebre romanzo “La verda koro” dell’ungherese Julio Baghy, tradotto come “Il cuore verde” e pubblicato da Tabula Fati nel 2022. Anche la Fei, la nostra federazione, ha avviato una piccola attività editoriale.
Come imparare l’esperanto?
Abbiamo istituito corsi online gratuiti per tutti. In quindici lezioni di un’ora e mezza l’una si può ottenere previo esame la certificazione linguistica A2, ma volendo si può proseguire fino al livello C1 e all’abilitazione alla didattica.
Ci sono atenei in cui viene insegnato?
C’era una cattedra all’università di Torino, ma l’insegnamento si è interrotto quando la docente è andata in pensione. Corsi di esperantologia sono previsti a Parma e nello statuto dell’università di Trento.
Lei parla spesso esperanto?
Quotidianamente, soprattutto nei contatti con persone di altre nazionalità.
È più facile impararlo se si conoscono altre lingue straniere?
Chi le conosce troverà più semplice l’apprendimento perché possiede già un’apertura mentale, ma è stato sperimentato che l’esperanto è anche un’ottima propedeutica ad altre lingue. In più, per gli italiani ha il vantaggio di essere facilmente pronunciabile: dopo un paio di lezioni si è in grado di leggere in maniera corretta.