I democratici chiedono un minuto di silenzio anche per la deputata del Minnesota Melissa Hortman e una legge sulle armi, i repubblicani incitano il clima da regime. Ma lo speaker Mike Johnson e il governatore dello Utah Spencer Cox si discostano dalla retorica trumpiana
Dopo l’assassinio di Charlie Kirk, la capitale americana Washington ha momentaneamente perso il ruolo di centro dell’attenzione dei media nazionali. Però al Congresso c’è stato un momento dove si è mostrato plasticamente la divisione del paese. Quando la deputata trumpiana Lauren Boebert ha chiesto un minuto di silenzio e preghiera per la morte di Charlie Kirk, i democratici hanno reagito chiedendo di fare lo stesso per la deputata statale del Minnesota Melissa Hortman. Un’altra sostenitrice del presidente, Anna Paulina Luna, ha urlato: “Voi avete fatto questo”. Le hanno risposto: “Votate una legge sulle armi”.
A mancare è una figura unificante, che certo non sta alla Casa Bianca. Anzi, il presidente Donald Trump, nella sua ospitata a Fox News, ha detto che “non gli interessa nulla” dei radicali di destra che di base vogliono solo “non vedere più crimini”, quasi ad approvare eventuali atti violenti prodotti da estremisti vicini alle sue posizioni. Chi invece si è comportato in modo diverso è stato lo speaker della Camera dei rappresentanti Mike Johnson: da un lato è uno strenuo difensore del presidente, tanto da venir definito “Maga Mike”, dall’altro è uno dei pochi residui istituzionalisti rimasti all’interno del partito repubblicano. Non a caso la sera dell’11 settembre Johnson è andato a parlare anche alla Cnn per cercare di calmare gli animi. Ieri Johnson ha persino fatto un atto di cortesia ormai insolito nei tempi post-trumpiani: ha fatto giurare il neoeletto deputato dem James Walkinshaw, proveniente da un vicino distretto della Virginia, augurandogli una lunga carriera al Congresso. Una piccola cosa che però la dice lunga sul clima di Washington dove la cortesia istituzionale è sempre più rara. Certo Johnson si trova a far fronte anche a urgenze più pratiche, come l’esigenza di dare maggiore sicurezza ai deputati che non hanno la scorta di cui gode lo speaker. Così come la richiesta, forse eccessiva, della già citata deputata Luna di erigere una statua di Kirk al Campidoglio. Insomma, la posizione dello speaker è salda, per ora, sempre che non finisca per incrociare i desiderata del presidente.
Un’altra persona che ha tentato di calmare gli animi è stato il governatore dello Utah Spencer Cox, un repubblicano noto per aver sempre cercato di ricreare una sorta di bipartisanship anche a livello statale, sin dal celebre spot che lo ritraeva insieme all’avversario dem nel 2020: insieme promettevano agli elettori di mantenere un alto livello di “civiltà politica” e di accettare il risultato delle elezioni di quell’anno. Ieri è stato sempre lui ad annunciare in un edificio dell’Utah Valley University a Orem che “anche se ha sperato fosse una persona estranea alla comunità”, l’assassino Tyler Robinson, un ventiduenne di famiglia repubblicana era invece “uno di noi”. Cox ha proseguito il discorso dicendo che bisogna assolutamente evitare che l’odio si “metastatizzi”, implicando quindi un rifiuto della logica Maga fatta propria da vari influencer che chiedevano una vera e propria svolta autoritaria contro la sinistra. Il governatore ha quindi proseguito dicendo che è sempre più necessario confrontarci in modo sicuro e protetto perché questo è un attacco “all’esperimento americano” e puntando il dito contro lo slogan molto forte nelle università “le parole sono violenza”, causa di molte controversie negli ultimi anni. No, Cox ha detto che “solo la violenza è violenza”.
Due voci da destra importanti in un momento dove alcuni, tra cui anche il vicecapo di gabinetto alla Casa Bianca Stephen Miller, chiedono l’instaurazione di un regime. Una voce del mondo Maga sembra aver seguito questo appello: la deputata Nancy Mace del South Carolina ha detto che “Charlie avrebbe voluto” che pregassimo affinché “Robinson possa trovare Gesù Cristo”. Chi invece si trova a fare i conti con una magra figura è l’Fbi trumpizzata: nonostante il suo contributo alle indagini sia stato scarso, il bureau ha comunque cercato di mettere il cappello sulla vicenda, con la dichiarazione del direttore Kash Patel che non ha mancato di elogiare “il grande aiuto di Donald Trump”. Ciò non cancella però le critiche fatte a quella che a tutti gli effetti è un eccessiva politicizzazione dell’agenzia con una competenza nelle indagini da parte dei vertici che sembra assai scarsa anche a molti repubblicani.