Google e OpenAI fanno i finti tonti su come l’AI sta cambiando il web

Le due big tech americane si mostrano sorprese dagli effetti dell’intelligenza artificiale, nonostante ne siano le principali responsabili. Come nello sketch dell’uomo hot dog, fanno finta di cercare i colpevoli, ignorando di essere loro ad aver sfondato la “vetrina” di Internet

C’è uno sketch del programma comico americano “I Think You Should Leave”, su Netflix, in cui un uomo sfonda la vetrina di un negozio con una macchina a forma di hot dog. Quando i passanti cercano di capire chi sia stato il responsabile, ecco che si unisce al gruppo un tale che indossa casualmente… un enorme vestito da hot dog. È palesemente la stessa persona che ha fatto il danno ma lui fa finta di niente e, anzi, grida: “Stiamo solo cercando di capire chi sia stato”. È una scena divertente che è diventata anche un meme, e rappresenta piuttosto bene il settore tecnologico di oggi: le aziende che hanno lanciato innumerevoli modelli linguistici e chatbot ora si rendono conto con “enorme stupore” delle loro conseguenze nel web. E nel mondo intero. Chi l’avrebbe mai detto?

Il caso più eclatante arriva da Sam Altman, Ceo di OpenAI, che questa settimana ha pubblicato su X, l’ex Twitter, una riflessione sofferta sullo stato dei social media. Altman ha notato che è sempre più difficile distinguere i post scritti da modelli linguistici da quelli umani. Gli è successo dopo aver visitato Reddit, in particolare il subreddit dedicato a Claude (un chatbot concorrente di GPT): è lì che ha avuto l’epifania e ha capito. Sono gli umani a imitare il tono e lo stile delle AI!

A rendere tutto questo piuttosto surreale è il fatto che il principale responsabile di questo fenomeno, l’invasione di contenuti sintetici su qualunque piattaforma web, sia così sorpreso del fenomeno stesso. E anzi, che provi a scaricare le colpe sugli utenti. Se gli umani imitano i modelli linguistici rovinando l’esperienza per tutti, la colpa non sarebbe delle AI che hanno invaso ogni spazio digitale (da Reddit a Spotify, passando per YouTube) ma nostra, degli umani, che le copiamo rendendo tutto più brutto e uniforme. Chiunque abbia aperto LinkedIn nell’ultimo anno avrà notato come gli utenti più attivi scrivano ormai come GPT. Forse perché lo usano, o forse perché lo usano così tanto da aver interiorizzato il suo stile. Ma non è questo il punto: il web è stato invaso da contenuti generati artificialmente e il fenomeno è iniziato in un momento preciso: nel novembre del 2022, con il lancio di ChatGPT. Sam Altman, insomma, dovrebbe saperlo.

Le conseguenze dell’ascesa dell’AI generativa erano chiare da tempo, eppure le aziende hanno a lungo negato l’evidenza. Lo scorso maggio, il Ceo di Google Sundar Pichai ha detto in un podcast di The Verge che le AI Overview (le risposte automatiche del motore di ricerca) stavano mandando traffico a “un range più ampio di fonti ed editori”. Nick Fox, sempre di Google, aggiunse che “dal nostro punto di vista il web è prospero”. Il tono è cambiato radicalmente in questi giorni, quando alcuni giornali hanno scoperto che in un documento presentato da Google in tribunale (nell’ambito di una causa per monopolio nella pubblicità online) l’azienda ha ammesso che il web aperto è “in rapido declino”. I motivi? Facilmente immaginabili.

Sempre questa settimana, però Google ha incassato una vittoria in tribunale quando il giudice Amit Mehta ha stabilito che l’azienda non sarò costretta a vendere Chrome, nonostante mesi fa avesse riconosciuto che Google ha un monopolio nella ricerca online. Cosa ha fatto cambiare idea al giudice? Proprio l’emergere dell’AI generativa, che “ha cambiato il corso di questo caso” e “ha promosso la competizione tra i motori di ricerca”, una cosa che non accadeva da quindici anni. Secondo Mehta, il dominio di Google nella ricerca tradizionale non si sarebbe automaticamente trasferito nel nuovo settore dell’AI, quindi non è necessario togliere pezzi (e potere) a Google.

Ma è davvero così? Google oggi ha una strategia molto più solida rispetto al 2023-2024: la suite Gemini, Google DeepMind, l’AI Overview e soprattutto l’AI Mode, una reinvenzione del servizio destinata ad avere un impatto ancora maggiore. Poter contare ancora su Chrome per implementare nuove funzionalità direttamente a livello browser non è un dettaglio trascurabile. Il rischio concreto è che il monopolio sulla ricerca si trasferisca eccome nel nuovo settore. Nel frattempo, Google può far finta di niente, aiutata paradossalmente da OpenAI che ha contribuito a salvare Chrome dalle mani della giustizia. Insomma, una settimana pazzesca per Google, che come l’uomo hot dog di “I Think You Should Leave”, continua a fare il finto tonto di fronte alle conseguenze delle proprie azioni, mentre il web che sostiene di voler proteggere viene trasformato dalle tecnologie che lei stessa sta sviluppando.

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