I magistrati accusano la capo di gabinetto di Nordio di aver detto il falso, ma dalle carte emerge l’opposto. Le deduzioni fantasiose dei pm
E se Giusi Bartolozzi, capo di gabinetto di Nordio, sul caso Almasri avesse detto la verità, quando ha riferito di non aver mai sottoposto al ministro della Giustizia la bozza del provvedimento che avrebbe evitato la scarcerazione del generale libico? La decisione della procura di Roma di indagare Bartolozzi per “false dichiarazioni” al Tribunale dei ministri appare più che forzata, quasi abnorme proprio sulla base delle carte depositate dai magistrati e anche della prassi che, come riferiscono al Foglio più fonti con una certa esperienza nei corridoi di Via Arenula, regola i rapporti tra il Guardasigilli e il capo di gabinetto. Nella sua relazione, il Tribunale dei ministri qualifica come “inattendibile e mendace” la versione fornita da Bartolozzi ai giudici per due ragioni principali.
Tutto ruota attorno alla mancata sottoposizione da parte di Bartolozzi al ministro Nordio della bozza di provvedimento che era stata intanto preparata dal Dipartimento affari di giustizia e che avrebbe consentito di convalidare l’arresto ed evitare la scarcerazione del generale libico ricercato dalla Corte penale internazionale. Ai giudici Bartolozzi ha riferito di non aver nemmeno presentato al ministro Nordio la bozza del provvedimento, anche perché quest’ultimo doveva valutare “un quadro molto più complesso”, che chiamava in causa anche informazioni provenienti dai servizi segreti. Un riferimento indiretto alle conseguenze negative che l’arresto di Almasri avrebbe potuto generare per la situazione degli italiani in Libia, come riferito ai giudici proprio dal direttore dell’Aise (i servizi segreti per l’estero), Giovanni Caravelli.
Eppure per il Tribunale dei ministri la versione di Bartolozzi sarebbe “intrinsecamente contraddittoria” dal momento che lei stessa ha dichiarato che col ministro Nordio si sentiva “quaranta volte al giorno”: “Sempre ogni cosa che arriva… noi ci sentiamo immediatamente”. In secondo luogo, le dichiarazioni di Bartolozzi sarebbero false perché sarebbe “logicamente insostenibile che si sia arrogata il diritto di sottrarre al ministro un elemento tecnico da valutare e tenere in considerazione ai fini della decisione da assumere”. Anche perché così facendo “avrebbe derogato alla prassi costantemente seguita di informare il ministro di ogni cosa”.
A ben vedere, sono le osservazioni del Tribunale dei ministri a risultare contraddittorie, per quanto poi siano state prese come oro colato dalla procura di Roma. Bartolozzi infatti ha riferito al Tribunale che era sua abitudine sentire il ministro numerose volte al giorno, ma non ha mai detto che era sua prassi sottoporgli ogni bozza elaborata dai singoli dipartimenti, cosa del resto inconcepibile per chiunque abbia conoscenza di come funzioni l’attività del ministro della Giustizia. Quest’ultimo ogni giorno trova sulla propria scrivania una pila alta un metro di documenti (decreti, protocolli d’intesa, proroghe di carcere duro, ordini di servizio, ecc.) da firmare. Sarebbe impensabile se al ministro venissero anche sottoposte le bozze predisposte dai dipartimenti, in un ping-pong che rischierebbe di essere infinito.
La verità è molto semplice ed è rintracciabile in una dichiarazione resa da Bartolozzi al Tribunale dei ministri, ma da questo poi “dimenticata” nelle sue osservazioni conclusive: “Gli uffici tecnici preparavano le bozze di provvedimento che lei sottoponeva al ministro; lei riferiva al ministro che sceglieva e lei gli portava la bozza in linea con i desiderata del ministro”. E’ ormai chiaro quali fossero i “desiderata” del ministro, o per meglio dire del governo (e dei servizi), che ha comunque commesso l’errore originario di non porre il segreto di stato sull’intera vicenda: evitare il mantenimento in carcere di un soggetto fondamentale per gli accordi diplomatici con la Libia nella lotta all’immigrazione clandestina.
Se questi erano i desiderata di Nordio e del governo, non si comprende per quale ragione Bartolozzi avrebbe dovuto sottoporre al ministro della Giustizia una bozza di provvedimento che andava nella direzione opposta.
La decisione di Bartolozzi, dunque, non è affatto “contraddittoria”, né ha portato a “sottrarre al ministro un elemento tecnico da valutare”, come sostiene il Tribunale dei ministri, ma si è semplicemente allineata con la scelta politica assunta sul caso dal ministro Nordio in accordo col governo.
Le conclusioni del Tribunale dei ministri si basano quindi su mere deduzioni non suffragate dalla logica e dalla prassi in uso a Via Arenula. Deduzioni colte al balzo dai pm romani, che in questo modo hanno potuto muovere contro Bartolozzi un’ipotesi di reato non “in concorso” con quelli contestati agli esponenti del governo, escludendo la capo di gabinetto dalla procedura di richiesta di autorizzazione a procedere. Mettendo così nei guai la maggioranza.