Nelle manifestazioni di protesta che hanno caratterizzato il fine settimana sono stati scanditi molti slogan e molte uova sono state lanciate. Eppure volere che la città corrisponda a un ideale o a un ricordo significa volere una Milano che smette di respirare e muore
Chi è stanco di Milano è stanco della vita, direi, parafrasando il dottor Johnson. A questa luce leggo le manifestazioni di protesta che hanno caratterizzato il fine settimana, durante le quali molti slogan sono stati scanditi e molte uova sono state lanciate, ma si è citato ben poco il dottor Johnson: il quale, esprimendosi così sulla sua Londra settecentesca, non voleva affatto dire che fosse un Eden da preservare in eterno, né una comunità senza macchia, una città di Dio scesa a miracolo mostrare. Intendeva invece che la massima concentrazione di vita possibile stesse in quell’inestricabile groviglio di progresso e corruttela, di pragmatismo e di ipocrisia, di esaltazione e di rovina, e che averlo a noia significava avere perso interesse per le complicazioni della vita, senza le quali restano solo la stasi, la necrosi, il nulla.
Con tutto il rispetto per il rimpianto nei confronti del Leoncavallo e per le istanze di chi non condivide le politiche di espansione urbanistica, è irrealistico pensare a una Milano in cui tutto vada bene, e ancor più a una Milano che torni a essere quella di venti, trenta, cinquant’anni fa, per il semplice fatto che il tempo procede sempre, pressando le persone a cavarsela alla bell’e meglio. Volere che Milano corrisponda a un ideale o a un ricordo significa volere una Milano che smette di respirare e muore. Pur riconoscendo che le fantasie suicidarie sono una caratteristica saliente dell’adolescenza, e che alle manifestazioni del weekend hanno partecipato tantissimi adolescenti di venti, quaranta, sessant’anni, mi domando se questo rivoltarsi di Milano contro se stessa non sia una resa, un tentativo di darla vinta a un Italia che, lei sì, da un decennio sembra proprio essere stanca di Milano; un’Italia che in effetti ha passato i centocinquant’anni, e che quindi ormai ha una certa età.