L’instabilità cronica del secondo quinquennio di Emmanuel Macron

Dal gennaio 2024, a oggi, i francesi hanno conosciuto quattro primi ministri in venti mesi: una situazione senza precedenti nella Cinquième République disegnata da Charles de Gaulle. Bayrou attende l’esito del voto di fiducia

Parigi. Quattro primi ministri in meno due anni, 51 giorni senza governo, l’esecutivo più effimero della storia della Quinta Repubblica. Sono i tre record nefasti che raccontano il secondo quinquennio di Emmanuel Macron, un quinquennio di instabilità cronica, che non è mai veramente iniziato, azzoppato da governi senza maggioranza, dall’acutizzarsi dell’anti-macronismo e dalla crisi endemica (il Monde la chiama maledizione) che colpisce tutti i secondi mandati.

“Sarà un quinquennio atroce”, avvertì uno dei suoi ministri nella primavera della rielezione, nel maggio 2022. “Il quinquennio di Emmanuel Macron si è concluso il 9 giugno 2024”, ha sentenziato una vecchia volpe del socialismo francese come Patrick Kanner, riferendosi al giorno dello scioglimento dell’Assemblea nazionale deciso dall’inquilino dell’Eliseo per cercare un “chiarimento democratico”. Che non è mai arrivato. Dal gennaio 2024, a oggi, i francesi hanno conosciuto quattro primi ministri in venti mesi: Élisabeth Borne (fino al 9 gennaio), Gabriel Attal (fino al 16 settembre), Michel Barnier (fino al 13 dicembre) e François Bayrou (fino a oggi): una situazione senza precedenti nella Cinquième République disegnata da Charles de Gaulle.

Con la caduta di Bayrou, Macron ha eguagliato addirittura il record di François Mitterrand, che aveva nominato sette primi ministri nel corso dei suoi due quinquenni. Borne è stata la più longeva, ma in venti mesi a Matignon non è mai riuscita a entrare nel cuore dei francesi. Troppo austera per un ruolo così importante, e poco in sintonia con i pezzi da novanta del governo, l’allora ministro dell’Economia Bruno Le Maire e il collega dell’Interno Gérald Darmanin, era stata soprannominata “ChatGpt” per i suoi discorsi algidi e privi di pathos. La nomina di Attal nel gennaio 2024 aveva suscitato grandi speranze: 34 anni, il più giovane primo ministro della Quinta Repubblica, un’aria da disrupteur che ricordava il Macron degli albori, eccolo l’erede del macronismo, dicevano alcuni. Ma la sua parabola si è conclusa malamente sei mesi dopo, con la “dissolution” che ha travolto il suo governo, costretto i francesi a tornare alle urne e aperto un periodo di interim durato 51 giorni.

La scelta di un vecchio saggio gollista come Michel Barnier, ex capo negoziatore della Brexit per l’Ue, dopo quasi due mesi di trattative con le altre forze politiche, è stata un’altra scommessa fallita di Macron. Nominato per durare fino alla fine del quinquennio, è caduto dopo soli tre mesi, diventando il primo ministro più effimero della Quinta Repubblica. La promozione di una figura come Bayrou, incarnazione della politica à l’ancienne, è stata vista dagli stessi alleati di Macron come un tradimento della promessa originaria del macronismo, che era quella della rupture, del superamento delle vecchie logiche della Cinquième.

“Se ci atteniamo alla Quinta Repubblica, non abbiamo mai avuto una crisi di questo tipo”, ha dichiarato alla Tribune du dimanche Luc Rouban, direttore di ricerca del Cnrs presso il Cevipof (Centre de recherches politiques de Sciences Po) e Sciences Po. “È una crisi senza precedenti poiché strutturale. Ci troviamo di fronte a partiti incapaci di mettersi d’accordo per creare coalizioni stabili. E questo indipendentemente dal sistema elettorale”, ha aggiunto Rouban. È l’etica del compromesso promossa dal filosofo Paul Ricoeur, di cui Macron è stato discepolo, la bussola che deve guidare la Francia nei mesi a venire, per ritrovare una stabilità che manca da troppo tempo.

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