Da Playboy alla politica, dal costumino rosso di “Baywatch” ai libri di cucina vegana. E sempre più Hollywood. L’evoluzione
Nel 2006 esce Borat, un film che a posteriori appare come un precoce resoconto del crollo del sogno americano. Sacha Baron Cohen interpreta un giornalista kazako che parte, mandato dal ministero della Cultura del suo paese, a studiare usi e costumi degli Stati Uniti. La gente con cui si interfaccia pensa che sia un vero giornalista (è un mockumentary). A un certo punto Borat, facendo zapping sulla televisione del suo hotel, finisce per vedere la serie anni 90 Baywatch e si innamora di CJ Parker, il personaggio interpretato da Pamela Anderson. Il film da quel momento cambia arco narrativo e diventa completamente centrato sul tentativo di Borat di trovare e sedurre Pamela Anderson/CJ (nella testa di Borat sono la stessa persona). Ossessionato dalla bagnina bionda, attraverserà l’America per arrivare a conquistare quella donna con “i capelli dorati e i denti bianchi come le perle”.
Nel 2006 Pamela Anderson era ancora sulla copertina di Playboy, ma come la rivista, anche lei era in declino – e infatti Borat la trova a firmare dvd per i fan in un Virgin Store in California, come una comparsa di serie B qualsiasi. Due anni prima, sempre sulla copertina di Playboy (dove inizia ad apparire nell’ottobre del 1989 e da lì una decina di volte, un record imbattuto) è ancora bollata come “America’s favourite sex symbol”. Per oltre un decennio Pamela Anderson è quello. La bionda maggiorata che fa sognare milioni, se non miliardi di persone. È la bagnina in costume rosso attillato della serie che va in onda dal 1989 al 1999, ultima epoca dell’ottimismo da “fine della storia” di Fukuyama. Pamela Anderson è un vero simbolo dell’America anni 90.
È iconica come un hamburger (prima dell’invasione gourmet). Come una partita di baseball, come lo zio Sam – nonostante sia canadese, nata in British Columbia, segno che i tesori nazionali sono spesso d’importazione (come Leonard Cohen, Jim Carrey o Justin Bieber). “La bionda più famosa del pianeta”, dicono allora i giornali. Pamela Anderson, Galatea dell’era Clinton, finisce appesa nuda nelle autofficine di mezzo mondo, diventa oggetto del desiderio di teenager e adulti di ogni classe sociale. Ha tutti gli ingredienti perfetti per quell’epoca.
Poi però iniziano ad arrivare gli hipster, e poi il MeToo, la cultura “woke” e il matcha latte, e Pamela Anderson è già storia, simbolo di un’epoca bollata come “tossica”, in cui le donne venivano viste come oggetti sessuali, e poco altro (o almeno questa è la narrazione odierna).
Per non sparire dagli schermi, Pamela è costretta a fare un reality e la concorrente di Ballando con le stelle, anche della versione francese. Partecipa a vari Grande Fratello internazionali e per un po’ sparisce. E’ sulla buona strada per diventare un relitto dell’epoca d’oro di quella televisione senza pretese pre streaming, pre autorialità da Hbo, dove bastava un po’ di azione, qualche corsa in rallenty senza reggiseno e la difesa dei basici valori a stelle e strisce, quella tv dove il fisico del cast contava più della trama. Pamela Anderson rischia di diventare un ricordo del passato onanistico dei quarantenni, il volto dell’evasiva distrazione pre Torri gemelle, ricordata per le ciocche platinate che muovono al vento, per le sopracciglia perfettamente affilate, per le labbra carnose, per gli occhi azzurri e per il costume sintetico rosso. Un perfetto esemplare genetico da pellicola di Leni Riefenstahl con gelati Algida. Ma il tempo è tiranno, e i canoni cambiano. Pamela però non finisce come la vecchia di Viale del tramonto, non vuole fare la soubrette invitata nei talk e nei varietà a ripetere il suo spettacolino da ex bomba sexy, non vuole finire a essere intervistata per raccontare gli anni sulle spiagge californiane insieme a David Hasselhoff dove i bagnini sembravano gli eroi della Marvel (tolte le nevrosi ebraiche). E ci riesce. Capisce qualcosa, si distacca dal suo personaggio che l’ha resa famosa, e adesso, a quasi sessant’anni, Pamela Anderson ha il suo comeback, il suo ritorno (viviamo nell’era dei comeback, del recupero, così come viviamo nell’era del sequel forzato e del remake).
Pamela Anderson oggi è un’attivista, si presenta senza trucco sui red carpet, parla di “bellezza naturale” e produce cetriolini sottaceto alla rosa che costano 38 dollari al barattolo (al momento c’è una lista d’attesa per ordinarli).
Non solo, parla di politica, ha imparato il francese e dice che i suoi film preferiti sono quelli di Godard. “Anche quando facevo le copertine di Playboy”, ha raccontato di recente, “mi si trovava seduta sul pavimento della Samuel French [una libreria di teatro su Sunset Boulevard] a leggere Tennessee Williams, Eugene O’Neill e Sam Shepard”. In una clip del sito di Criterion Collection, azienda di Dvd d’autore restaurati e rimasterizzati che invita ospiti cinematografici a scegliere nel loro sgabuzzino film da portarsi via, Pamela Anderson sembra un personaggio di Woody Allen, con tanto di vocina à la Dianne Wiest e look da sciura delle Hamptons. Si aggira tra i cofanetti, inforcando occhiali oversize, scegliendo La strada di Fellini (pronunciandolo, bene, in italiano). Dice che La piscine è uno dei suoi film preferiti. Il suo accento francese, quando dice “Jeanne Moreau”, è impeccabile. Cita come modelli Jean Seberg e le donne dei film di Bergman. Elogia la poesia dell’iraniano Kiarostami. Parla di registi brasiliani come fosse una ragazza che incontri a Brooklyn in un coffee shop bio. Racconta delle sue visite alla National Gallery con Vivienne Westwood per ammirare le tele di Tiziano o delle sue passeggiate a Montmartre verso casa di Dalida. La sua era trash è solo un ricordo. Il sex tape uscito nel 1997 sembra storia. Lei che fu, con il leak del suo video amatoriale zozzo (videocassetta rubata da casa sua, pre jhacker), una sorta di madrina involontaria delle future Kardashian e Paris Hilton. E invece ora lei potrebbe sembrare la loro prof, che prova a convincerla della bellezza del neorealismo di De Sica, mentre loro si fanno ancora selfie e ritocchini. Quella di Pamela Anderson è una delle evoluzioni pop più interessanti in corso, un fenomeno che dice molto di come è necessario cambiare, o apparire, per poter avere una seconda vita da celebrità per il pubblico under 40.
Prendiamo un attimo in mano la Fenomenologia di Mike Bongiorno, noto saggio di Umberto Eco (che possiamo rileggere nel volume appena uscito per Quodlibet Saggisti italiani del Novecento a cura di Alfonso Berardinelli e Matteo Marchesini). Lì il semiologo e futuro bestsellerista (non aveva ancora trent’anni) parla di quei Superuomini che il cinema ha dato in pasto al pubblico, personaggi “che egli non pretenderà mai di diventare”, come “Kirk Douglas e Superman”. Poi, dice Eco, la tv li ha sostituiti con l’everyman con cui invece si può immedesimare, l’uomo medio, da cui traspare in ogni atto una “mediocrità assoluta” e senza finzioni sceniche (il presentatore di quiz Bongiorno, appunto). Pamela Anderson, passando da Baywatch allo sgabuzzino della Criterion Collection, ha fatto un passaggio simile, diventando entrambi i personaggi, prima dea e poi zia puntigliosa, ma poi bypassandoli tutti e due. Da donna irraggiungibile, sogno erotico puro, diventa una donna reale, che non si trucca più. Anzi, trasforma la mancanza di vanità in vanto, in linea con la morale contemporanea, e da everywoman diventa cattedratica, diventa modello educativo. In accordo con le dinamiche social assume così, senza bisogno di usare i device, il ruolo di influencer liberata. Diventa cioè una guida. Si eleva senza essere irraggiungibile. La sua prima battaglia è quella animalista, come una delle sue eroine Brigitte Bardot, e quindi vegana e membro di Peta e contro le corride. Questo la porta a incontrare Vladimir Putin e diventare amica del fondatore di Wikileaks Julian Assange. Lo va anche a trovare mentre lui è rinchiuso nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra. I siti di gossip parlano di una liaison ma lei dice: è solo platonica, abbiamo passato la notte a bere mezcal. Poi, sul suo profilo Twitter, scrive nel 2018 dei post sui gilet gialli francesi. E’ preoccupata per le derive di destra europee che le ricordano gli anni 30, e la sua soluzione, dice “non è Macron né Salvini, che hanno bisogno l’uno dell’altro e si rafforzano tra loro, ma un risveglio paneuropeo che valichi i confini e le nazionalità, e che sia capace di affrontare la profonda crisi economica, sociale, ecologica che l’Europa sta attraversando”. In un’intervista a Rolling Stone cita l’Ur-fascismo di Eco, di cui è lettrice. Parla dei dati della Banca mondiale sull’immigrazione. Parteggia per Jeremy Corbyn, allora leader laburista britannico di sinistra. Viene intervistata dalla rivista marxista Jacobin dove dice: “Sogno una società in cui le persone divorano libri e opere d’arte. Abbiamo la responsabilità di riempire i nostri cuori e le nostre menti con musica e arte, non con le PlayStation. Le connessioni umane si stanno estinguendo. Abbiamo dimenticato come si fa l’amore”.
Ma fare solo l’attivista, da ex celebrity del pomeriggio di Canale 5, non basta per tornare davvero in scena. Per passare da influencer-opinionista a vera star, deve fare qualcosa di più. Così Anderson nel 2022 va a Broadway, in quel momento un posto che gli attoroni da Oscar iniziano a frequentare per provare l’ebbrezza del teatro, stanchi dei set di LA. Lo spettacolo è Chicago, dove lei interpreta la protagonista accusata di omicidio dell’amante. Il ruolo basta per attirare l’attenzione. Netflix qualche mese dopo le dedica un documentario, in cui raccoglie carote nel giardino della sua casa d’infanzia, dove è tornata a vivere. E dopo il documentario, Pamela, a love story, la giovane Gia Coppola, una delle registe della famiglia dell’aristocrazia hollywoodiana, se ne innamora e la chiama per un film uscito l’anno scorso. In The last showgirl la bionda interpreta un personaggio non lontano da un suo vero percorso alternativo, quello di una ormai anziana performer a Las Vegas che perde il lavoro quando il suo spettacolo non è più di moda. “Ci sono voluti vent’anni per avere il ruolo che aspettavo da sempre”, ha detto Anderson. E infatti si è presa una nomination ai Golden Globe, ed è stata celebrata come una “rivelazione”, da tutti.
Anche le sue relazioni mostrano un’evoluzione notevole, una grande capacità di cavalcare lo Zeitgeist. Cinque matrimoni. Il primo con un famoso batterista di una band heavy metal. Il secondo con il cantante country Kid Rock, che ora, anziano e ridicolo, va alla Casa Bianca a fare il giullare per Trump con completo a stelle e strisce. Poi si sposa due volte con un giocatore professionista di poker, a Las Vegas. Poi relazione con un calciatore francese di famiglia marocchina. Poi altro matrimonio, durato poco più di un anno, con la sua guardia del corpo, finito anche questo in divorzio. Ora si parla di una nuova relazione con Liam Neeson, uno che ha passato indenne ogni tempesta del #MeToo, amatissimo anche in virtù dell’esser vedovo innamorato (siamo nell’era del vittimismo) come il suo personaggio di Love Actually, un uomo d’azione e di cuore. Insieme i due sono stati protagonisti del remake di Una pallottola spuntata, appena uscito.
Come faceva Hollywood a farsi sfuggire un personaggio del genere? Una che da sex-symbol oggettificato diventa attivista no-trucco, riuscendo a passare dal costume rosso aderente ai libri di cucina vegana, passando da Playboy a Godard, e arrivando a interpretare, notizia recente, un ruolo in un remake in lingua inglese di un film di Bellocchio? Oggi le ragazze che leggono Internazionale possono accogliere nel loro pantheon la bionda redenta, la bionda che ha trovato nel giardinaggio – perfetto per oggi: curativo e ecologista – l’attività per una mente libera e forte, entrando nella sfilza di autrici con falcetto e zappetta, come Olivia Laing e Jamaica Kincaid.
Oggi Anderson è perfetta proprio in virtù della sua parabola, del saper riconoscere che tutta quella biondaggine e occhi languidi erano immorali, urlando di una rivincita contro il mondo macho-centrico che l’ha idolatrata. La sua seconda vita mostra al mondo dell’intrattenimento che tutti, anche le bionde, possono farcela a diventare intellò (o a che alle bionde procaci non era permesso essere intello’ negli anni 90), e a passare dai calendari da gommista alle interviste sul New Yorker. E poi il suo amore per la Nouvelle Vague fa impazzire i mematori millennial iscritti a Mubi (il Netflix dei cinefili snob), così come la Gen X intellettuale si esalta quando scopre che Vasco Rossi legge Marcel Proust.
“Ode alla rinascita di Pamela Anderson”, scrive Marie Claire”, trattandola come una fenice che si alza in volo dalla cenere di polverosi Vhs. Nel gioco di Roland Barthes la parabola di Pamela Anderson potrebbe oggi esser definita come “mitologica”. Il suo rinascimento serve alla società di oggi, e a chi tiene le fila dell’intrattenimento, alla bolla degli Studios e dei campus. “La funzione del mito”, scrive Barthes, “è svuotare il reale”. Il femminismo e i barattoli di cetriolini sottaceto alla rosa di Pamela Anderson sono perfetti per l’epoca di Instagram e dei candidati sindaci socialisti a New York, per quel mood contemporaneo dove si adora mescolare alto e basso, ancora di più se i simboli dell’alto e del basso sono racchiusi nella stessa persona.