Al Museo Carnavalet una mostra intima e sorprendente svela la Parigi di Agnès Varda: fotografie mai viste, oggetti e filmati per raccontare l’occhio curioso e anticonformista della regista
Parigi. Si chiama “La Parigi di Agnès Varda, di qui e di là” la bella mostra al Museo Carnavalet nel cuore del Marais, con cui la città festeggia un monumento culturale, com’è ormai unanimemente considerata la regista-fotografa-artista scomparsa nel 2019. E il fascino di questa esibizione è costituito prima di tutto dalla sorprendente angolazione a partire dalla quale è stata pensata: nessuna pomposa intenzione celebrativa, nessun interesse monografico e tanto meno una sistematizzazione della vasta opera di Agnès. Invece un avvicinamento fluido, progressivo dichiaratamente emotivo alle vere ragioni della sua passione e dei suoi interessi. Ecco allora apparire chiarissimo come all’origine del tutto ci sia un’inesauribile, amorosa curiosità di Agnès per gli esseri umani, in particolare per coloro da cui si ritrova circondata, nella sua città d’adozione, Parigi (Varda nasce nel 1928 a Bruxelles), ma ancor di più nel suo quartiere (a lei piaceva dire di non sentirsi tanto parigina, quanto abitante del 14esimo arrondissement), nella sua strada, la via Daguerre dove si mette in testa di recuperare quella che era poco più d’una fatiscente catapecchia, due negozi e un cortile senza allacci, fino a trasformarla nel corso di tanti decenni nella sua casa-laboratorio-atelier, dove concentrare le proprie attività creative e ricevere ogni genere di ospiti, da famosissimi colleghi ai vicini affezionati. E dunque sono i suoi occhi, in particolare quelli dell’Agnès giovane, aspirante fotografa affamata di emozioni estetiche non banali, i protagonisti di questa mostra. Il cui cuore espositivo – corredato da oggetti personali e da filmati biografici e antologici delle sue produzioni cinematografiche e tv (persino alcuni divertenti spot pubblicitari, ad esempio per lanciare dei collant colorati, all’avvento di questo indumento) – insomma il nocciolo duro del progetto sono le 130 fotografie, in buona parte mai viste, selezionate dal suo archivio e quasi tutte scattate col vetusto banco ottico che Agnès si trascina per i marciapiedi di Parigi, in cerca del soggetto giusto. Tutto attorno a lei la città dev’essere elettrizzante, almeno quanto è povera e malconcia, dopo le offese della guerra e dell’occupazione. Ma nella cornice realistica di quei muri scrostati, alla Varda appare congruo immortalare tanti parigini sconosciuti, ma anche una galleria di amici artisti, quasi tutti pronti a sorriderle: ecco Vilar, Calder, Brassaï, Fellini con Giulietta Masina, al loro arrivo nella Ville Lumière per presentare “La strada”.
Poi, già nel corso degli anni Cinquanta, la fotografia ad Agnès non basta più, l’amore per i ritratti le sembra statico, la voglia d’immortalare bizzarrie e unicità umane forse l’ha stancata e, alla ricerca di definizioni più nette, presto approda al cinema, prima sperimentando sotto forma di documentari-realtà, poi avvicinandosi a tutti gli effetti al vortice rivoluzionario della Nouvelle Vague, fino a dar vita, nel 1962, al suo capolavoro, “Cléo dalle 5 alle 7” interpretato dalla splendida Corinne Marchand. Nel frattempo Agnès ha incontrato il suo compagno di vita e di riflessione creativa, il geniale Jacques Demy, destinato a imporre una rilettura del tutto personale al gioco dei generi cinematografici, attraverso il magico innesto di fattori inattesi come la musicalità, la favola, la tragedia. La loro diventa una vera power couple dell’arte francese anni Sessanta, però sempre contraddistinta da umiltà e frugalità, mai compiaciuta della crescente ammirazione che la circonda. E comunque, volutamente, la curatrice della mostra Anne de Mondenard ha inteso nell’occasione lasciare lontano, appena sullo sfondo, la figura di Demy e la sua relazione con Varda, rimanendo fedelmente accostata alla parabola creativa di Agnès, così sottile e determinata.
E infine c’è una strisciante malinconia che corre sottesa alla visita di questa mostra, a dispetto del succedersi di palpiti che sa offrire: è la sensazione che quel qualcosa di grande e al tempo stesso di rudimentale di cui Agnès e il suo circolo sono stati artefici, sia andato irrimediabilmente perduto, per le strade della Parigi di oggi, come nelle altre città che contano: un flusso di energia creativa libera, spontanea, estranea alle meccaniche mercantili, sostenuta solo da istinti e desideri. Con un mutevole consesso umano dominato dall’urgenza del fare, anche se di quattrini ne circolavano pochissimi, l’arte di arrangiarsi era la chiave per rendere concreti i propositi e la reciprocità e la complicità erano moneta corrente. Varda appare un simbolo ancora smagliante di questo spirito, il suo anticonformismo si conferma uno stile e non una posa e, e osservandola in certi autoritratti, si resta stregati dalla sottile maestria di seduzione incarnata in quei suoi brucianti anni giovanili, con quel caschetto di capelli la cui rotondità è di continuo capace d’assumere fogge sempre nuove.