Inni alla Palestina libera e alla Flottilla hanno scandito la premiazione della sezione Orizzonti. Leone d’argento per The Voice of Hindi Rjab di Ben Hania. Father, Mother, Sister, Brother trionfa, ma il regista che fu di culto ha ormai decisamente esaurito la sua fantasia e ironia
Inni alla Palestina libera e alla Flotilla in navigazione verso Gaza con a bordo Greta Thunberg hanno scandito la premiazione di Orizzonti, sezione collaterale dedicata ai nuovi linguaggi – così il programma, in realtà ci sono soprattutto giovani registi e registe. La maestra di cerimonie Emanuela Fanelli ha raccomandato, per stringere un po’ i tempi: “Siate brevi e venite già in lacrime”. Inutile sforzo: alla fine abbiamo avuto anche il Cardinale Pizzaballa in diretta da Gerusalemme. Per ribadire l’inno alla pace, e soprattutto far sapere al mondo che la voce degli ebrei di Israele è trascurabile, non importa a nessuno.
Il film più temuto che amato – ma guai a parlarne come se fosse un film, come si dovrebbe fare a una Mostra del Cinema, sei esposto al pubblico ludibrio – era “The Voice of Hindi Rjab” della regista tunisina Kaouther Ben Hania. La bambina palestinese che implora aiuto, ma la Mezzaluna Rossa ha i suoi protocolli da seguire. Serve un percorso sicuro per l’ambulanza. Le registrazioni sono originali: 24 minuti di applausi, e giù lacrime. Si parlava di Leone d’oro, ha vinto invece il Gran Premio della Giuria – insomma, vale come Leone d’argento.
Mentre stiamo scrivendo queste note – sono le 9 e 40 di sera – sulla vela di una barca all’Isola Edipo (luogo un sacco alternativo del festival) svetta una vela con scritto “From Venice To Gaza”.
Leone d’oro – rullo di tamburi, perché non ci si crede – a Jim Jarmusch. Regista che fu di culto, e che oggi decisamente ha esaurito la sua fantasia e ironia. Ha portato alla Mostra un film scomposto in tre episodi – intitolato “Father, Mother, Sister, Brother”. Certo non il migliore, tra quelli diretti dal regista coccolato dagli “alternativi” negli anni 80 di “Daunbailò”.
Non ci si crede. Se Alexander Payne voleva a tutti i costi premiare un regista americano, c’era Kathryn Bigelow con “The House of Dynamite” (i soliti matti hanno calcolato 11 minuti di applausi, contro i 23 della bambina di Gaza). C’era anche il meritevole “The Smashing Machine” di Benny Safdie, premiato per la migliore regia – meglio di niente, ma ogni tanto premiare un giovane fa bene al cinema.
L’Italia porta a casa la coppa Volpi per il miglior attore a Toni Servillo, finto presidente della repubblica nel film di Paolo Sorrentino “La Grazia”. Un premio speciale della giuria – ma non farebbero prima a dire: primo, secondo, terzo… – è andato a Gianfranco Rosi, che alla Mostra di Venezia fu miracolato con un Leone d’oro per “Sacro Gra”. Qui esplora Napoli, “Sotto le nuvole” del Vesuvio – tre anni di lavoro, pare – ma non tutti si vedono.
Migliore sceneggiatura a Valérie Donzelli e Gilles Marchand per il film “A pied d’oeuvre”: fotografo che molla tutto per fare lo scrittore, quindi campa di lavoretti: svuota le cantine, fa i buchi nel muro, pota il giardino. Ma così finalmente scriverà l’autofiction che lo riporterà in classifica. Attrici, poche: la Coppa Volpi è andata alla bella e molto sexy cinese Xin Zhilei, per il melodrammone “The Sun Rises on All Us”.