Lo PsychoLeonka del Partito democratico

Domani due cortei in cui mezzo partito sfilerà con quelli che accusano il Pd di ogni malefatta

Faccio più la figura da pirla se non vengo, o se vengo ma me ne sto un po’ così, nascosto dietro le mamme (nonne) del Leonka? Perdonate il nannimorettismo, e anche lo slang meneghino, ma è l’oggettiva anamnesi della schizofrenia politica di cui da molto tempo è preda il Pd milanese (non soltanto milanese, ovvio: salutami la Puglia) e che ha avuto un picco di parossismo in vista della manifestazione di domani (anzi saranno due) contro lo sgombero del Leoncavallo. Se Beppe Sala (che non va) e qualcuno dei suoi non si presentano contro lo sgombero fascista del Leonka fanno la figura dei pirla. Ma quelli che invece ci vanno?

Anche tralasciando il fatto oggettivo che in 14 anni un capannone per il Leonka le giunte di sinistra non sono riusciti a trovarlo (anzi quasi sì, ci riuscì la brava assessora di Pisapia Ada Lucia De Cesaris, ma fu affondata da Basilio Rizzo e da Rifondazione, che orbati della bandiera dei perseguitati del liberismo non avrebbero più avuto un ubi consistam), la situazione del Pd è un pasticcio dilaniato e tremendo. Chi non si presenta sta con Piantedosi. Ma presentarsi accodati a un corteo (anzi due, ma tanto la piattaforma-manifesto è la stessa) che accusa due sindaci e tre giunte di sinistra di ogni malefatta, che tipo di figura è? Lo sgombero del Leonka, ammesso che interessi davvero a qualcuno, è infatti marginale nelle stesse dichiarazioni scritte sul sito del centro sociale. In cui sotto accusa sono le politiche di Milano in quanto tali. Nel manifesto “Giù le mani dalla città” si legge infatti che il corteo è “in difesa degli spazi pubblici e sociali autogestiti, contro la gentrificazione, per il diritto all’abitare, contro la speculazione edilizia, il saccheggio delle Olimpiadi Milano Cortina e i padroni delle città!” (col punto esclamativo). Ma anche “per un’altra Milano e per tutte le città sempre più segnate da zone rosse, limitazioni, biglietti di ingresso, selezioni obbligate”.
Ci si allarga fino alla “legalità fatta di odio verso chi è stranier@ e/o espuls@, pover@” e che “giustifica la violenza fino alla tortura e al genocidio”. Ma fermiamoci al dissidio logico tra Palazzo Marino e via Watteau. Il punto più illuminante del testo è però quando si spiega che il modello da abbattere è quello di chi governa a Milano da tre legislature: “Lo sgombero del Leoncavallo è una evidente conseguenza delle trasformazioni avvenute a Milano a partire dal piano urbanistico”. In altre parole la mano del governo che “è calata sul vecchio Leo, nel 50esimo anno della sua storia, per avviare la campagna elettorale della destra”, è solo una variabile indipendente rispetto alle vere colpe e malefatte di Sala & Co. Tutto bene nel Pd? Le mamme del Leoncavallo (assieme a una miriade di sigle, dalla Cgil all’Anpi) non chiedono una sede, chiedono che sia riconosciuta “una visione del mondo antitetica rispetto a quella prospettata nelle nostre città”. Il centro sociale Cantiere (che con Lambretta e altri duri e puri organizza l’altro corteo) accusa: “Questa città è governata da padroni ben precisi, ai tanti Manfredi Catella e ai governi del Mattone”.

Tutto bene per il Pd? Meglio non esserci e passare per fascisti, o esserci e sentirsi dare – darsi da soli – di fascisti e palazzinari? Il super schleiniano segretario metropolitano del Pd, Alessandro Capelli (in predicato di un posto da assessore nel rimpasto) ha aderito entusiasta, chiamando all’appello i compagni contro la giunta in cui potrebbe entrare. Ci sarà anche Pierfrancesco Majorino, star della sinistra del partito. Ci sarà la capogruppo in Comune Beatrice Uguccioni (molto attiva anche contro il nuovo stadio, che la sua giunta sostiene), ci sarà il consigliere Michele Albiani, responsabile diritti per il Pd Milano Metropolitana, ruolo ricoperto nei Giovani democratici (quelli proPal, per dire). Tutti insieme appassionatamente dietro alle care mamme e ai centri duri e puri che manifestano contro la Milano di Sala e Pisapia, contro 15 anni di amministrazione del Pd, contro gli assessori del Pd. Ci saranno slogan non solo contro le Olimpiadi, chissà che male fanno, ma anche contro il nuovo stadio. E pazienza se Anna Scavuzzo, la vicesindaca Pd con super deleghe tra cui l’Urbanistica (dunque anche lei nella lista dei malfattori?), si sgola da giorni per convincere il suo partito a votare per il progetto. Ci sarà Alessandro Giungi, pasdaran No stadio, che alla manifestazione che mette nel mirino pure le Olimpiadi manifesterà contro sé stesso: è infatti presidente della Commissione consiliare Olimpiadi e Paralimpiadi Milano Cortina 2026. L’altro pezzo del Pd, che ufficialmente è alla guida di Milano ma in realtà è in minoranza contro sé stesso, starà invece alla finestra: a guardare sfilare i centri sociali e i loro compagni di partito in una sorta di remake politico di Psycho.

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  • Maurizio Crippa
  • “Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini”

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