La grande fuga da Apple

L’azienda di Cupertino sta perdendo pezzi sempre più importanti: OpenAI e Meta si sono accaparrate alcuni dei suoi più grandi esperti. La “coolness” di Apple è stata grande e duratura ma ora sta andando verso il suo tramonto

C’è qualcosa che non va in Apple. Sia chiaro: l’azienda di Cupertino se la passa ancora benone, i conti sono in ordine e gli iPhone vendono ancora tanto. Ma sotto la superficie smaltata si nascondono crepe che stanno diventando sempre più evidenti e riguardano qualcosa di meno palpabile e quantificabile: la capacità di Apple di risultare cool, sia per i consumatori che per chi ci lavora. Negli ultimi due anni, l’azienda a ha collezionato due “epic fail” clamorosi. Il primo si chiama Apple Vision Pro, il visore per la realtà mista da 3500 dollari che doveva rivoluzionare il modo in cui interagiamo col mondo. Comparso e sparito, pare con risultati di vendita piuttosto deludenti.

Il secondo disastro si chiama Apple Intelligence, la suite di servizi basati sull’intelligenza artificiale che doveva essere la risposta di Apple alla rivoluzione dell’AI, facendo concorrenza a ChatGPT e Google Gemini. Il problema? Non funziona. O meglio, non funziona come promesso: molte delle applicazioni promesse (e mostrate nelle pubblicità di Apple!) sono ancora oggi assenti, e forse impossibili con le tecnologie odierne. Questo non è normale, soprattutto per un’azienda come Apple. Sotto la direzione di Steve Jobs, i prodotti annunciati uscivano puntualmente pochi mesi dopo la presentazione ed erano quello che promettevano di essere. Certo, la prima generazione di iPhone era traballante ma funzionava: esisteva. Oggi molti lanci dell’azienda, specie quelli su prodotti e servizi nuovi, sembrano fatti più per tranquilizzare gli investitori che per seguire la filosofia jobsiana.

Questi precedenti hanno creato un clima pessimo all’interno dell’azienda, soprattutto nel reparto intelligenza artificiale, che si ritrova a dover mettere toppe a un servizio incerto mentre tutte le altre aziende tech corrono a velocità supersonica, superando barriere tecnologiche una dopo l’altra. Anche Meta si trovava in una situazione simile, un grande gigante che a quasi tre anni dal lancio di ChatGPT non aveva ancora trovato la sua strada. Fino a quando, lo scorso luglio, il capo Mark Zuckerberg ha iniziato una campagna acquisti miliardaria per comprare i migliori cervelli del settore, strappandoli letteralmente alla concorrenza. Dopo OpenAI, Apple è uno dei suoi bersagli preferiti. Solo questa settimana Meta ha assunto Yang Zhang, ex responsabile della robotica di Apple, che è andato a unirsi al Meta Robotics Studio. Ad agosto, secondo il Financial Times, Apple ha perso Brandon McKenzie e Dian Hang Giap, due esperti di Foundation Model – quei modelli linguistici enormi e potentissimi che stanno alla base di tutte le applicazioni AI più avanzate. Entrambi sono approdati a OpenAI.

Ma il colpo più duro è arrivato a luglio, quando Ruoming Pang, il capo dei Foundation Model di Apple, ha accettato una proposta, l’ennesima, proprio da Meta. Altri ricercatori hanno preferito startup emergenti come la canadese Cohere piuttosto che rimanere a Cupertino. Non è normale preferire Zuckerberg ad Apple. O meglio, non lo sarebbe stato fino a qualche anno fa. Ma le cose cambiano, e anche Apple è cambiata, in questi anni, o forse è rimasta troppo ferma mentre tutto il resto si muoveva attorno a lei. Da una parte c’è Meta che ricopre di milioni chiunque decida di lavorare per Zuckerberg, dall’altra c’è Apple dove il morale del “talento” – come vengono chiamati internamente i dipendenti più brillanti – è ai minimi storici. Non ha aiutato la notizia secondo la quale Apple starebbe pensando di usare Google Gemini per il lancio del “nuovo” Siri, previsto per l’anno prossimo. Invece di risolvere il problema internalmente, si usano tecnologie altrui.

Il risultato è che dalle parti di Cupertino non ci si diverte più. Mentre la concorrenza paga tantissimo e offre libertà assoluta ai dipendenti, Apple è diventata sempre più vuota e impermeabile a quel talento giovane e scapestrato che ogni azienda tecnologica insegue disperatamente, specie in questo momento storico. E il problema va oltre l’intelligenza artificiale. L’addio del capo della robotica, per esempio, è un segnale preoccupante per un settore che Apple considera strategico per il futuro, visto il progetto di riempire le nostre case di dispositivi smart e servizi per la domotica, come HomePod. La “coolness” di Apple è stata talmente grande e duratura che è stata data per scontata, come fosse uno strato inscalfibile ed eterno attorno al brand. Ma anche queste cose cambiano, perdono pezzi, si sgretolano. Nuove generazioni sono cresciute senza aver conosciuto direttamente Steve Jobs, senza aver vissuto il lancio dell’iPod o la rivoluzione dell’iPhone: conoscono solo questa Apple, che è una cosa ben diversa.

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