Il premier britannico risponde alle dimissioni della sua vice Angela Rayner rafforzando i ministri più fidati
Angela Rayner, vicepremier del Regno Unito e viceleader del Labour, il partito di governo, si è dimessa, logorata da uno scandalo che le si è appiccicato addosso da mesi e che ha sciattamente tentato di scrollare via, senza riuscirci. Il premier Keir Starmer, che aveva cercato di difenderla ma aveva capito in fretta che non sarebbe stato possibile, ha cercato di limitare i danni facendo un grande rimpasto di governo, che ha tolto un po’ di attenzione da Rayner e che ha mostrato la tattica del premier: poche lacrime per la dipartita della numero due, poche concessioni all’ala del Labour che lei rappresenta (quella più a sinistra), un assetto compatto e di fedelissimi per affrontare i problemi veri, che stanno dalle parti del budget da presentare a novembre e, soprattutto, dalle parti di Nigel Farage, il sovranista trumpiano in strombazzante ascesa.
Per quel che riguarda Rayner, non si tratta di quegli scandali epici con cui spesso ci ha intrattenuto la politica britannica: l’ex vicepremier non ha pagato l’imposta sul registro della sua casa al mare pari a 40 mila sterline. Ha detto che i suoi avvocati l’hanno consigliata male, gli avvocati hanno replicato: no, avevamo detto che ci voleva una consulenza fiscale, e lo abbiamo detto (scritto) ben due volte. Ma con una leggerezza che non le si addice, Rayner ha continuato a tenere questa posizione, rimanendo intrappolata e contando inopinatamente fino all’ultimo sulla protezione del suo capo, che non ha potuto fare altro che chiederle di dimettersi. Cosa che, infine, Rayner ha fatto, nel giubilo dei media e dei partiti dell’opposizione, ai quali non sembra vero che “Angela la rossa”, la paladina dei diritti dei più poveri, la ragazza madre delle case popolari, battagliera, sprezzante, tostissima, la sgargiante esponente della sinistra più radicale in un governo strutturalmente impostato sulla sobrietà e il grigio, capitolasse proprio sulle tasse non pagate.
A Starmer, che ha capito fin dall’inizio del suo mandato, nell’estate scorsa, che il suo mestiere sarebbe stato quello di mettere insieme i cocci di un paese a pezzi, è toccato fare subito ordine nel governo e nel partito, mentre fuori da lì Farage, alla conferenza a Birmingham del suo partito, Reform Uk, che nei sondaggi oggi è al primo posto nel Regno Unito “invaso dagli immigrati”, diceva svelto: si voterà entro il 2027 e vincerò io, sarò premier io (non è nemmeno riuscito ad avere tutta l’attenzione su di lui, Farage, superato a sinistra dal rimpasto e a destra dall’ex conservatrice passata a Reform, Andrea Jenkyns, che sul palco di Birmingham s’è messa a urlare di essere insonne e di sentire, mentre guarda il soffitto, il suono di Dio).
L’apocalisse è appena fuori dalla porta – evidentemente agli inglesi la Brexit non è bastata – ma l’urgenza, per Starmer, è ripristinare credibilità ed equilibrio. Il posto di vicepremier lasciato vacante dalle dimissioni di Rayner è stato assegnato a David Lammy, coriaceo ministro degli Esteri filoucraino che, con la promozione, passa al dipartimento della Giustizia. Al Foreign Office arriva la veterana Yvette Cooper che lascia il ministero dell’Interno, che va a Shabana Mahmood, che era alla Giustizia. Ci sono stati altri spostamenti di peso, che vanno tutti nella direzione del rafforzamento dei più fedeli a Starmer.
Rayner lascia un’eredità politica solida – questa settimana i Comuni approveranno una legge sui diritti dei lavoratori e sulla costruzione di nuove case popolari per cui l’ex vicepremier si è battuta, assieme a Starmer, contro gli scettici dentro al Labour – ma anche una macchia scura su un esecutivo che, dopo quattordici anni di governo conservatore, si era venduto come il cavaliere bianco del riscatto britannico. Quanto sia indelebile questa macchia si scoprirà col tempo, il primo test di lavaggio sarà l’elezione del nuovo viceleader del Labour, perché Rayner ha lasciato anche questo incarico, che è deciso dalla base del partito. Rayner rappresentava l’ala sinistra del Labour, aveva avuto un rapporto burrascoso con Starmer (che aveva goffamente cercato di farla fuori anni fa) che poi si era trasformato in una convivenza conveniente per entrambi, utile a tenere insieme le due anime del partito. Senza Rayner, l’ala di sinistra, già parecchio annacquata dal premier, tenterà di avere un nuovo o una nuova rappresentante, forse senza riuscirci. Farage si augura un esodo verso il nuovo partito dell’ex leader laburista Jeremy Corbyn, tutto a sinistra: la politica britannica, così come quella di tanti altri paesi, è così: c’è chi punta a fare più cocci possibile, e chi li sistema.
Paola Peduzzi