Un’eredità viva. Come interpretare l’archivio di Giorgio Armani

Il progetto di costruzione e riattivazione dell’archivio dello stilista è la testimonianza di un progetto creativo. Ogni dettaglio rivela l’evoluzione e la coerenza degli elementi che costituiscono la materia viva di un pensiero che ha superato i codici della moda

“The living legacy” è un buon titolo per un archivio, un buon titolo soprattutto quando, a causa dell’età e di qualche, inevitabile acciacco, oltre che di un problema di salute che si è protratto lungo l’estate, tutto il mondo si interroga sul tuo futuro e sull’asse ereditario che hai costruito per garantire la continuità della tua azienda. Abbiamo fatto una ricerca, e la prima volta che a Giorgio Armani venne chiesto se avesse pensato al futuro della sua azienda, non avendo eredi diretti e avendo rifiutato tutte le proposte di acquisto, correva il 2015 ma non vorremmo sbagliarci, dopotutto il web è fallace, potrebbe essere successo anche prima. Da allora, sono trascorsi dieci anni, non c’è sfilata, inaugurazione di mostra, intervista dove qualcuno non si informi se vi siano stati cambiamenti, se qualcosa sia successo; la domanda viene posta anche con delicatezza, per carità, ma che incubo, e che scongiuri, e che pazienza. E quanto non è dunque singolare che, nell’ultima foto che gli è stata scattata, per l’intervista a “How to spend it” di cui i media italiani si sono affannati a riprendere quelle due righe a metà, en passant, inevitabili e sempre uguali, su chi erediterà la sua azienda, Armani mostri la copertina del libro che sta leggendo, o che forse gli hanno messo fra le mani per lo scatto ma che comunque ha in casa, e che quel libro, di cui si legge a fatica il titolo, sia il magnifico, storico saggio di Giovanni Macchia sui moralisti del Sei-Settecento europeo, da Burton a La Bruyère dei “Caratteri” a Garzoni e Mazzarino che tutti ricordano per le ragioni sbagliate a Bossuet, noioso certamente, povero Luigi Delfino di Francia di cui era precettore, ma che eloquio, che grandiosità.

Non è una sorpresa che la rilettura di Montaigne a cura di Macchia (“il Macchia” di cui è stato ricostruito lo studio alla Sapienza, a cui è dedicata una sala alla Biblioteca Centrale di Roma, che ci ha spiegato le infinite connessioni fra il pensiero, la natura e la scrittura) si trovi nella biblioteca di Armani, così come non è nemmeno singolare il titolo che ha scelto per il suo archivio. Legare l’abito di ieri all’umano di oggi, togliere da un impianto digitale ogni sospetto di tecnologia nonostante la sua presenza sia come ovvio imprescindibile, spostare l’asse semantico sul rapporto fra il corpo e la natura dei tessuti o delle pelli che lo rivestono è il segreto dei grandi designer di moda cioè di chi, pur avendo ben chiaro il fondamento commerciale della propria impresa, mette le ragioni della persona prima di quelle del marketing. Lo si intuisce anche dal testo che accompagna l’esplorazione del sito, sotto il titolo “Origine, metodo, futuro” e che abbiamo condotto per voi non in anteprima, è infatti già disponibile open source con cinquantasette look da un paio di giorni (nella sua totalità per i dipendenti), ma rispetto all’archivio fisico, cartaceo, fotografico, documentale e dei capi che si trova al Silos e al quale ci siamo rivolti spesso in occasione di mostre o di ricerche specifiche. Ha un impianto facilmente approcciabile da un pubblico digiuno di schedature, codici, numeri progressivi, collocazioni, un tempo si sarebbe definito user friendly. Dà a tutti l’impressione di essere dei tecnici pur senza aver mai dovuto mandare a memoria i testi dell’emerito professor Antonio Romiti; ha un taglio fotografico e video contemporaneo, perfino modaiolo (sì, potrebbe essere uscito dalla bottega di Margiela epoca-Galliano) e, nel video introduttivo, lo stesso sottotesto di manualità e tecnologia che il titolo postula.

Il punto centrale del progetto risiede però in una parola contenuta nel primo capoverso della presentazione: “ARMANI / Archivio è il progetto di costruzione e riattivazione dell’archivio di Giorgio Armani in occasione del cinquantesimo anniversario dalla sua fondazione”. La parola è “riattivazione” e si unisce al concetto, inedito per un archivio ma organico al progetto stesso, di “look”. I capi non sono infatti raccolti e catalogati per “item”, cioè per oggetto e poi per insieme, ma al contrario, cioè per un insieme successivamente scomposto. “Grazie al lavoro di conservazione e documentazione, permette di esplorare le collezioni -custodite in azienda dal 1975 ad oggi, ricostruire le cronologie, comprendere i codici. La chiave di lettura dell’archivio è il look, sintesi di un processo che coinvolge la progettazione dei capi, l’attitudine dei corpi e l’orchestrazione delle atmosfere. Ogni oggetto presentato da ARMANI / Archivio è la testimonianza di un gesto creativo, ogni dettaglio rivela l’evoluzione e la coerenza di forme, materiali, silhouette e intenzioni – elementi che costituiscono la materia viva di un pensiero che ha superato i codici della moda per diventare linguaggio culturale, da leggere e reinterpretare”. Questo schema, questo format, rende perfettamente naturale anche il passaggio successivo, che a molti altri brand non è riuscito (perché troppo limitato, oppure troppo sfacciato, o ancora troppo debole sulla scientificità) e cioè la replica e la messa in vendita di un “nuovo vintage”, chiamiamolo così, che permette alla Giorgio Armani spa di presidiare un mercato sicuramente in crescita e di governare quello già esistente.

Non poteva essergli sfuggito che le sue giacche e i suoi completi storici, soprattutto da uomo, ma anche i preziosissimi capi da sera femminili, oggettivamente intramontabili, siano molto ricercati dai collezionisti. E dunque, ecco spiegato il perché del passaggio per il quale “in un’ottica di circolarità, nel dialogo tra passato e presente, il progetto prevede inoltre la selezione e lavalorizzazione di capi iconici di collezioni storiche: alcuni look, custoditi con cura e scelti per la loro attualità, vengono riproposti al pubblico affinché possano continuare a raccontare la propria storia e incontrare nuove generazioni di appassionati”. Questa prima selezione, partita da Venezia nei giorni della Mostra del Cinema, sarà disponibile “in sette boutique nel mondo, a partire da Milano, Parigi, Londra. Dopo l’Europa, sarà la volta degli Stati Uniti, nelle boutique di Los Angeles, in occasione dell’Academy Museum Gala del 18 ottobre, e di New York, e poi in Asia, a Pechino e a Tokyo”. Come trasformare un mondo di connaisseur di moda presunti in connaisseur veri senza parere e con capi al tempo stesso nuovi e storici: oltre che un archivio, una strepitosa stratificazione di segni.

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