L’estremo difensore della Nazionale estone, che venerdì gioca contro l’Italia, gioca al Werder Brema ma è di proprietà dell’Arsenal. La sua storia calcistica è partita da Polva, un paesino dove nessuno giocava a calcio
Non c’è ruolo più letterario del portiere. Perché per anni l’estremo difensore è stato descritto come un uomo solo in mezzo al campo, l’unico individualista in uno sport di squadra. È una narrazione che calza a pennello a qualsiasi numero uno. Ma soprattutto a Karl Hein, l’uomo con i guanti dell’Estonia che dovrà provare a bloccare gli attaccanti azzurri. A ventitré anni il ragazzo di Polva, un villaggio di circa seimila anime nel sud del paese dove nel Medioevo il diavolo si sarebbe divertito a radere al suolo la chiesa locale ogni notte, sembra aver elevato a sistema il concetto di isolamento.
La sua solitudine parte da lontano. Da ragazzino sembra destinato alla pallavolo. Poi, un pomeriggio, suo fratello maggiore lo porta con sé a tirare calci a un pallone. Karl ha sette anni e si diverte così tanto che pretende di ripetere quell’esperimento. Il più spesso possibile. È lì che iniziano i problemi. All’alba del millennio il calcio non è esattamente uno sport popolare in Estonia. La Nazionale non è neanche fra le prime cento posizioni del ranking Fifa. Tanto che nella scuola di Hein nessuno gioca a pallone. Per cambiare le cose serve un colpo di teatro. Così Karl afferra il suo migliore amico e lo trascina a un provino per entrare in una squadra locale. Una storia da manga giapponese che si conclude con il classico lieto fine. Il Tiigrid, un club alla periferia di Tallin, rimane impressionato dal suo talento. Tanto che non si limita a farlo entrare in rosa, ma corre ad assumere un preparatore dei portieri per aiutarlo a sviluppare il suo potenziale. Il ragazzo inizia a lavorare insieme a Madis Rajando. E il fatto di poter contare su un professionista tutto per lui lo motiva ancora di più. “Lo sento ancora oggi – dice Hein – Devi ricordare quelli che sono stati davvero di supporto”.
Il talento di Karl diventa presto sovradimensionato rispetto al blasone di un club che non gioca neanche su campo dalle dimensioni regolamentari. A tredici anni passa così al Nomme United. Ad allenarlo c’è Mart Poom, ex portiere della nazionale estone con una presenza nell’Arsenal che schierava Lehmann e Almunia. È un segno del destino. A quindici anni Hein debutta in prima squadra. Poom è impressionato. Tanto che decide di richiamare la sua ex squadra per segnalare l’esistenza di un portiere dal futuro certo. A Londra restano sorpresi. Il valore del portiere è reale. Le possibilità che diventi un giocatore importante sono alte. Così lo mettono sotto contratto. “È stato surreale – ricorda – un giovane ragazzo estone che entra in un top europeo. Per qualche mese ho avuto nostalgia di casa, poi basta. Avevo realizzato il mio sogno”.
In sette anni Hein non ha ancora mai giocato una partita con la prima squadra dell’Arsenal. I Gunners l’hanno prestato prima al Reading e poi, nella scorsa stagione, al Real Valladolid. Il suo esordio in Spagna è stato abbacinante. Solo che le cose sono cambiate in fretta. I biancoviola sono retrocessi con largo anticipo. Anche se Karl è stato una delle poche note liete. Ma nonostante qualche partita straordinaria, si è ritrovato a contare con il pallottoliere i gol subiti: 7 da Barcellona e Athletic, 5 da Villarreal e Atletico, 4 dal Siviglia. Ora la sua avventura è ripartita dal Werder di Brema. Un altro prestito, un altro campionato. L’Arsenal non vuole perderlo d’occhio.
E venerdì sera Hein giocherà la sua quarantesima partita con la Nazionale. Il suo idolo Poom ha chiuso la carriera con 120 presenze. La strada di Karl è ancora lunga. Ma non certo in salita.