I veri obiettivi dei volenterosi a Parigi

Con Zelensky, gli europei puntano a far vedere a Trump che Putin vuole solo sabotare i negoziati e le possibilità di pace sono pari a zero. Per le garanzie di sicurezza serve il sostegno americano, ma il capo della Casa Bianca pensa invece a interrompere i programmi di sicurezza dei paesi che confinano con Mosca

L’obiettivo della riunione dei volenterosi che si è tenuta oggi a Parigi era convincere il presidente Donald Trump di un’ovvietà: Vladimir Putin lo prende in giro, sabota i negoziati e non intende arrivare alla pace. La riunione è stata suddivisa in tre momenti. Prima gli europei hanno parlato fra loro – soltanto alcuni, tra i quali il presidente finlandese Alexander Stubb, vestito come Zelensky, e il premier polacco Donald Tusk, erano presenti a Parigi assieme al padrone di casa, Emmanuel Macron, al presidente ucraino e ai leader delle istituzioni europee e Steve Witkoff. Gli altri, inclusa la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, erano in collegamento. Dopo questa conversazione, si è tenuta una telefonata con Trump, alla quale ha partecipato anche il suo vice J. D. Vance.


La telefonata non è andata bene, un diplomatico ha detto al Foglio che da parte degli Stati Uniti non ci sono impegni. In conferenza stampa, il terzo momento della giornata dei volenterosi a Parigi, Macron ha detto: “Gli Stati Uniti sono stati molto chiari: vogliono far parte del lavoro sulle garanzie di sicurezza”. La frase è vaga, come vago è l’impegno che ciascun volenteroso è pronto a garantire all’Ucraina. Macron ha parlato di ventisei paesi che forniranno il loro contributo, ma pochi sono pronti a mandare truppe sul terreno dopo un cessate il fuoco, come chiedono gli Stati Uniti. La posizione di Italia – come confermato dalla stessa Meloni – Polonia e Germania non cambia, i tre paesi vogliono dare assistenza e addestramento, ma non entreranno nei confini di Kyiv. I volenterosi hanno mostrato che sono pronti a farsi carico di un aiuto consistente, possono aumentare la produzione di armi, manderanno missili a lungo raggio, ma chiedono che Washington fornisca il sostegno militare e di intelligence necessario e su cui gli europei rimangono carenti. Nessuno dubita che la Russia cercherà ancora di attaccare Kyiv, tutti quindi chiedono che la struttura messa in piedi per garantire la sicurezza degli ucraini sia solida. La riunione, come le altre precedenti, è stata un esercizio di teatro per convincere Trump. Gli obiettivi sono due, il minimo è fare in modo che gli Stati Uniti non taglino la fornitura di intelligence e di armi all’Ucraina. Quello che invece sarebbe ritenuto un successo è l’obiettivo che rimane irraggiungibile: convincere Trump a nuove e dure sanzioni contro la Russia.



Trump per la prima volta ha scaricato sugli europei la responsabilità di fare pressione su Putin. Si comporta ancora come se le possibilità di pace fossero reali, invece sono pari a zero. Il rischio che durante la conversazione il presidente americano sposi altre richieste russe è temuto da Kyiv e dai suoi alleati. Trump si presenta a Putin già con un regalo: secondo il Financial Times gli Stati Uniti taglieranno i fondi per i programmi di addestramento ed equipaggiamento di alcuni paesi confinanti con la Russia.

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull’Unione europea, scritto su carta e “a voce”. E’ autrice del podcast “Diventare Zelensky”. In libreria con “La cortina di vetro” (Mondadori)

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