Dal maggiolino venduto per aprire l’azienda fino al successo. Storia dell’epopea di Giorgio Armani

Innovatore e individualista, ha rivoluzionato lo stile con semplicità ricercata, fiuto per il mercato e una gestione imprenditoriale ferrea. Ora la successione deciderà il futuro dell’impero

Lo stile, che non è moda e non è marchio, ma li precede. L’ispirazione che, lo diceva Einstein, si accompagna sempre al sudore (il 10 per cento contro il 90 per cento). L’organizzazione in questo è stato un mostro di efficienza, seguiva il “modello Ibm”, tutto era programmato, le aziende che lavoravano per lui avevano rigide scadenze da rispettare. Una volontà ferrea, pignola, che lo portava a controllare ogni dettaglio, persino le grucce alle quali appendere le famose giacche, i suoi veri capolavori per donne e per uomini. Giorgio Armani andrebbe studiato di più anche come imprenditore, un innovatore schumpeteriano e dirompente, con un gran fiuto per il mercato e una capacità di andare controcorrente. Si dice che deve gran parte del suo successo all’America, ed è vero, ma l’ha conquistata quando ancora l’America non aveva trovato il suo orgoglio con Ronald Reagan. Un tempo, il mantra in pubblicità era che quando tutti vestono di giallo bisogna vestire di blu, ebbene è stato il credo di Armani. Mentre tutti aggiungevano lui toglieva, mentre tutti esageravano in stoffe e vestiti, lui era parco, quasi troppo negli anni dell’edonismo, gli stessi che segnarono il suo successo mondiale.

Aveva il culto della ricca semplicità (non è una contraddizione) osava, spiazzando i concorrenti, utilizzava fibre diverse, mescolando il naturale e l’artificiale, introduceva persino colori, i suoi colori, il blu in tutte le sue variazioni per le donne e rigorosamente scuro per il uomini, quel Blu Armani che quasi si confonde con il nero, ma anche il greige come è stato chiamato, fusione tra grigio e beige tanto stretta da impedire una distinzione tra le due tinte. Importante è stato il legame strettissimo con le imprese tessili, compreso Zegna, ma soprattutto quelle che come la Gft accettavano di piegarsi ai suoi gusti e voleri perché “io sono un duce”: ironizzava compiaciuto sul suo “ducismo”, la voglia di comandare in modo assoluto, lui che sostenne di votare solo per chi si batteva per la libertà e la democrazia. Eppure quel timido testardo, inguaribile individualista che non ha mai voluto immaginare di cedere un centimetro nemmeno a un socio fidato, qualcuno ha ascoltato, molto e bene, quel qualcuno che ha amato e con il quale ha vissuto non abbastanza: Sergio Galeotti, morto solo a 40 anni. Per Armani imprenditore, non solo come persona privata, è stato fondamentale.

Giorgio incontra Sergio nel 1966 poco dopo essere passato dalle vetrine della Rinascente alla Hitman, l’azienda di Nino Cerruti dal quale ha appreso le giacche con le spalle scivolate, quasi cadenti. Galeotti crede che i sogni del suo amico si realizzeranno e nel 1975 nasce la Armani S.p.a., capitale sociale 10 milioni di lire trovati in parte, così vuole la leggenda, vendendo il proprio Maggiolino Volkswagen. Un anno dopo i ricavi ammontano a 569 milioni di lire. Non male per un inizio. Ma è Saks sulla Quinta strada, è la New York innovativa e scanzonata, a dare il la. Il grande magazzino organizza una mostra che doveva essere riservata a un piccolo gruppo di clienti invece il successo fu tale che durò per giorni. La via è aperta. Nel 1978 Diane Keaton si presenta alla cerimonia per gli Oscar per ritirare la mitica statuetta (miglior attrice protagonista per “Io & Annie” di Woody Allen) indossando una giacca Armani destrutturata, comincia un lungo scambio con le star, Richard Gere in “American Gigolò” nel 1980 via via fino a Tom Cruise in “Mission: Impossible” o Leonardo DiCaprio nel “Lupo di Wall Street”. L’America, il cinema, anche questo per “virtù e fortuna” avrebbe detto Machiavelli. Con l’aiuto di Galeotti che non si limita a fare i conti. Armani sottolineava spesso le sue scelte controcorrente nell’immagine e nella pubblicità, come il murale al centro di Milano, una sola gigantesca foto. O la diversificazione: “Quando nel 1981 ho aperto a Milano il primo Emporio, riempiendolo di abbigliamento casual dai prezzi contenuti, in denim, furono in molti a criticarmi – ha ricordato – Lo si riteneva un danno di immagine. Ma i miei jeans con l’aquilotto divennero un simbolo di appartenenza. Il prezzo era adeguato e così la mania prese subito piede”. Sergio muore nel 1985 e tutti si chiedono che ne sarà dell’onirico stilista. Ebbene Giorgio prende in mano l’impresa e mette a frutto gli insegnamenti in un modo che stupì molti. Gli anni successivi sono marcati dalla espansione estera e dallo sviluppo degli accessori dai profumi agli occhiali. L’accordo con Leonardo Del Vecchio è fondamentale per la crescita della Luxottica, si stringe un sodalizio che viene interrotto quando Armani comincia a sospettare che Del Vecchio voglia di fatto prendere il controllo. Tempo dopo ci sarà una riconciliazione. Molti fanno la corte all’inventore di un nuovo stile, tra questi Bernard Arnault con la sua LVMH, in particolare quando il suo eterno rivale François Pinault gli soffia Gucci. Ma la Armani non è in vendita, “re Giorgio” non molla il suo dominio.

La successione diventa fin da allora un cruccio, tanto che lo stilista prepara un piano di successione che parte dalla Fondazione alla quale fa capo un gruppo che fattura 2,4 miliardi di euro ma, se quotato in Borsa, potrebbe valerne da 12 a 15, qualcosa meno di Prada. Quando sarà aperto il testamento si saprà come verrà diviso un patrimonio personale stimato in una dozzina di miliardi. Lo statuto dell’azienda per la quale lavorano 8.700 dipendenti, prevede due tipi di soci, quelli di tipo A hanno il 30 per cento del capitale, quelli F il 15 per cento. I primi hanno 1,33 voti per azione, gli altri 3 voti. Per avere la maggioranza in assemblea bisognerà raccogliere il 40 per cento delle quote. Ogni scelta di fondo va adottata con il 75 per cento. Il top manager Pantaleo Dell’Orco, 72 anni, prenderà in mano l’azienda. “E’ la persona cui ho affidato i miei pensieri più privati, personali, di lavoro e non, che ha saputo tenere per sé con grande riserbo. Grazie Leo!”, ha scritto Giorgio nella sua autobiografia. Tra gli eredi la sorella Rosanna e suo figlio Andrea Camerana, le nipoti Silvana e Roberta, figlie del fratello Sergio. La parentela di Camerana con gli Agnelli (il padre era cugino di primo grado dell’Avvocato), ha alimentato ipotesi su un interessamento della Exor che vede nella moda uno dei suoi business preferiti. “Non si fa” è stata la reazione ufficiale; era il 2021. “Se ne va un maestro e un amico”, ha commentato John Elkann. La speranza che la Giorgio Armani cavalchi da sola senza Giorgio Armani non sembra molto realistica nel mondo della moda e del lusso dove si combattono giganti affamati.

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