Le armi inviate a Kyiv non solo per scopi difensivi. Le truppe italiane a due passi dall’Ucraina pronte per la seconda fase. I miliardi spesi ma secretati. Indagine sull’Italia dei Volenterosi, con molti trollaggi contro Salvini
Da un lato purtroppo le parole, dall’altro per fortuna la realtà. Oggi a Parigi, lo sapete, i famosi volenterosi, ovvero la coalizione dei paesi europei desiderosi di fare tutto il necessario per dare il proprio sostegno all’Ucraina, si incontreranno, insieme con Volodymyr Zelensky. L’obiettivo numero uno, dei paesi europei e del presidente ucraino, è ottenere garanzie di sicurezza certe, operative, per costruire una rete in grado di proteggere l’Ucraina nella fase, al momento molto remota, di uno scenario diverso da quello attuale, dominato da una Russia che grazie alle ambiguità americane ha sfruttato i primi otto mesi di Trump alla Casa Bianca per sferrare attacchi all’Ucraina tra i più letali dall’inizio della guerra.
Al vertice dei volenterosi, l’Italia, insieme con la Germania, parteciperà da remoto, e da qualche tempo a questa parte, a proposito di distanza dal cuore pulsante delle decisioni europee sul tema dell’Ucraina, è evidente che il governo italiano ha cercato di inviare alcuni messaggi a metà. Si sta con Kyiv, senza se e senza ma, ma dando sempre l’impressione di voler dimostrare di essere meno guerrafondai dei famosi cugini francesi. Si inviano le armi in Ucraina, anche armi pesanti, come gli Storm Shadow, missili a lungo raggio, ma poi si fa sapere che quelle armi possono essere usate dall’Ucraina solo in funzione difensiva, non offensiva. Si inviano miliardi di aiuti, tra sostegno militare, finanziario e umanitario, ma non si contestano i dati secondo i quali, come riportato dal Kiel Institute for the World Economy, l’Italia avrebbe speso dal 2022 a oggi appena tre miliardi di euro per l’Ucraina, molto distante dai quasi 20 miliardi del Regno Unito e dai 15 miliardi circa della Germania. Si propone il modello dell’articolo 5 per sostenere, con una coalizione di paesi volenterosi, l’Ucraina del futuro, ma poi si fa sapere che l’articolo 5 va bene, certo, ma inviare truppe in Ucraina, per l’Italia, non va bene, proprio no. Si sostiene la politica del riarmo europeo, come da proposta della Commissione europea, ma si fa di tutto per chiamare il riarmo in modo diverso, vincendo l’ipocrita partita della comunicazione in Europa: meglio la prontezza che il riarmo.
Si individua la Russia come una minaccia assoluta per il futuro dell’Europa, e dell’Italia, ma poi si cerca di ridimensionare, a parole, l’allarmismo di alcuni paesi, come la Germania e la Finlandia, che vedono entro il 2030 il rischio di un attacco russo alle porte dell’Europa. La narrazione che il governo italiano asseconda, rispetto al suo impegno per l’Ucraina, tende a essere forte sui princìpi, per così dire, e debole sulle azioni, come se mostrare il proprio impegno militare per l’Ucraina fosse qualcosa di sconveniente e pericoloso, anche dal punto di vista della raccolta del consenso. L’elemento interessante, che risulta al Foglio, è che sui punti appena elencati la narrazione che il governo asseconda rispetto a quello che fa è diversa da quelle che sono le azioni reali, che non vengono comunicate, nella consapevolezza che in una maggioranza in cui vi è un partito come la Lega di Matteo Salvini, che ha premuto per inviare a Mosca un ambasciatore più putiniano di Dugin, l’unica strategia in grado di non dividere la coalizione è agire senza dare troppo nell’occhio, e facendo prevalere la politica delle parole alla pratica dei fatti. I fatti, non smentibili, ci dicono questo.
Ci dicono, per esempio, che gli ucraini utilizzano le armi inviate dall’Italia anche per missioni offensive, non essendoci un solo documento scritto che indichi per l’Ucraina un caveat per adottare in modo restrittivo le forniture militari. Ci dicono, per esempio, che l’Italia non lo vuole comunicare ma in verità i miliardi spesi tra sostegno militare, finanziario e umanitario sono il doppio di quanto risulta ufficialmente, e si aggirano attorno ai sei miliardi di euro. Ci dicono che le polemiche sull’invio di truppe in Ucraina sono polemiche che tengono conto di un fatto preciso: le truppe in Ucraina, qualora dovesse servire, verrebbero inviate nel caso in cui ci dovesse essere, dopo le trattative di pace, una nuova aggressione all’Ucraina da parte della Russia, e in caso di attacco a entrare in Ucraina sarebbero le truppe dei volenterosi paesi Nato che si trovano schierate sul fronte est a intervenire, e tra queste ci sarebbero anche quelle italiane. I numeri? Eccoli: sul fianco est della Nato l’Italia schiera oggi circa 2.000 militari. I principali contingenti sono in Bulgaria (731) e Ungheria (257), oltre a missioni in Estonia (301) e Lettonia (318). E a questi si aggiungono assetti navali (354), piccoli nuclei per l’assistenza in Ucraina e istruttori. Non si inviano truppe in Ucraina, e lo si dice, ma non si dice che non si metterebbero a disposizione dell’Ucraina i contingenti dei paesi volenterosi in caso di aggressioni future. E non lo si dice, e non lo si può dire, perché riproporre, come fa l’Italia, l’articolo 5 della Nato per proteggere l’Ucraina, significa non poter escludere di fare quello che è previsto nell’articolo 5 della Nato, ovvero “intraprendere immediatamente, individualmente e di concerto con le altre Parti, l’azione che ritenga necessaria, compreso l’uso della forza armata, per ristabilire e mantenere la sicurezza”.
E dunque, sì, niente truppe sul terreno, ma non lo si può escludere in seguito a un accordo e a un mandato internazionale multilaterale. E a proposito di truppe, Meloni & Co. hanno scelto di non renderlo pubblico ma rispetto alla minaccia futura russa per l’Europa, minaccia che la maggioranza tende a considerare poco concreta a parole, vi è stata una richiesta fatta ai carabinieri, per avere entro il 2026 un contingente per la difesa integrata del territorio, nell’interdizione di area e nella controinterdizione di area, composto non più da 9 mila unità ma da 25 mila. Tra la narrazione di ciò che il governo dice di fare, sull’Ucraina, e ciò che fa, c’è una zona grigia, non dichiarata, e non smentibile, messa ai margini per questioni di equilibri, di paure, di imbarazzi, che il più delle volte sono utili a rassicurare l’alleato della maggioranza meno propenso degli altri a difendere tutto ciò che fa rima con Europa. Si parla di Salvini, naturalmente, e a proposito di Salvini, e a proposito di trollaggio militare contro il leader della Lega, varrebbe la pena farsi una domanda. Bloomberg, due giorni fa, ha fatto emergere alcune sagge perplessità dell’Amministrazione americana rispetto all’utilizzo di spese militari per opere che militari non sono, come il Ponte sullo Stretto. Il rimprovero è giusto ma, a proposito di distanza tra le parole e la realtà, varrebbe la pena porsi una domanda: esiste un documento ufficiale che dichiari apertamente e in modo vincolante che il Ponte sullo Stretto sia finanziabile con spese militari? La risposta, forse, l’avrete indovinata. Da un lato le parole, dall’altro la realtà. Vale sul Ponte e per fortuna vale anche sull’Ucraina.