A causa del continuo blaterale sulla progressiva perdita dell’identità, il paese scandinavo ha scelto un canone passatista. Nessun fenomeno culturale posteriore al 1975 è contemplato
Sì a Pippi Calzelunghe e no agli Abba, nel canone culturale che il governo della Svezia ha appena partorito. Messa così sembra una contrapposizione fra modelli culturali e può indurre a trarre conclusioni politiche di vasta portata: poiché nel Paese scandinavo la maggioranza si regge sul traballante appoggio esterno di una destra piuttosto muscolare, bisogna dedurne che Pippi Calzelunghe sia un baluardo nazionalista mentre gli Abba dei pericolosi bolscevichi? Non credo. Il guaio del canone culturale svedese sta proprio nella struttura del canone, nella sua cornice.
A renderlo urgente è stato il continuo blaterare sulla progressiva perdita dell’identità che aveva caratterizzato la nazione da Carlo XII Gustavo a Victoria Silvstedt, a causa di immigrazione e multiculturalismo. Per questa ragione si è scelto un canone passatista, che non contemplasse nessun fenomeno culturale posteriore al 1975 (un impeto filologico mi ha indotto a controllare: il successo internazionale degli Abba data a partire dal 1976, pertanto non ci sono). Abba o non Abba, Pippi o non Pippi, questo è il guaio del canone svedese: credere che la cultura si sia fermata mezzo secolo fa, e che i cinquant’anni precedenti siano stati soltanto tempi supplementari, inutile orpello, fatale decadimento. Quando, invece, l’unico problema che dovrebbe porsi qualsiasi canone, qualsiasi cultura, qualsiasi nazione è quello dei cinquant’anni successivi.