La sconsideratezza dei manifestanti pro Pal alla Vuelta 2025

Oggi l’undicesima tappa della corsa spagnola è stata interrotta a tre chilometri dall’arrivo. Chi protesta non vuole la Israel PremierTech in corsa e sta mettendo a rischio la sicurezza dei corridori pur di cacciarla

Un manipolo di manifestanti a favore della causa palestinese ha sfondato le barriera di protezione al traguardo della undicesima tappa della Vuelta per manifestare il suo sdegno verso quanto sta accadendo nella Striscia di Gaza e la contrarietà alla presenza della Israel PremierTech in questa edizione della gara ciclistica spagnola. Gli organizzatori hanno così deciso di tagliare gli ultimi tre chilometri di corsa, eliminare le premiazioni, non decretare un vincitore, segnando giusto il tempo dei corridori, visto che avevano corso e il loro l’avevano fatto.

In tutto questo c’è qualcosa di positivo: il ciclismo è ancora seguito, amato, considerato meritevole di essere interrotto per sfruttare la sua popolarità e il suo seguito. Una dozzina di anni fa i più avrebbero ritenuto questo improbabile.

È però l’unica cosa buona di quanto è successo.

Che la sicurezza di una corsa sia facilmente violabile non è qualcosa che si scopre oggi. Il ciclismo percorre le strade che ogni giorno sono percorse da migliaia di persone, aperte al pubblico: arrivare al rischio zero è utopia. Lo si sapeva. Di corse interrotte per proteste ce ne sono state molte.

Ciò che preoccupa è la violenza e la sconsideratezza con la quale i manifestanti si sono scagliati contro i corridori, il loro menefreghismo per la sicurezza di atleti che in bicicletta faticano un anno intero, non solo in corsa, e che magari sono al via della Vuelta alla ricerca dell’occasione giusta per dimostrare il proprio talento e magari rimediare un ingaggio per la stagione seguente che possa far continuare la loro carriera anche solo di un anno.

Ieri Simone Petilli è caduto a causa di un paio di manifestanti che hanno invaso la strada. Ha scritto: “Mentre stavamo passando nel centro di un paese dei manifestanti hanno cercato di saltare in mezzo al gruppo e nella confusione è avvenuta una caduta. Fortunatamente sono finito a terra soltanto io, ma la situazione sta un po’ degenerando”.

Anche per evitare che una cosa del genere potesse accadere nelle ultime centinaia di metri della undicesima tappa, gli organizzatori hanno deciso di interromperla prima.

I manifestanti a favore della causa palestinese non vogliono che in corsa ci sia la Israel PremierTech e dicono che continueranno e intensificheranno la lotta. Ma la squadra ha deciso da tempo di togliere la scritta Israel dalla maglia e schiera un israeliano, un canadese, un ceco, un italiano, un americano e due britannici che chissà quali conoscenze hanno della situazione mediorientale e quale è stato il loro appoggio allo stato ebraico.

Il punto è colpire il simbolo, non l’uomo, dicono i manifestanti. Praticamente quello che viene detto da un lato e dall’altro di una guerra. I simboli però non si colpiscono quasi mai, gli uomini invece non c’è verso di schivarli.

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