Testa a testa tra mito e Bibbia, barocco e contemporaneo: i due caratteri si intrecciano in un’opera-Frankenstein. La Chigiana sperimenta e centra il bersaglio con una doppia prima tra luce, sangue e teatro vero
Volano più teste che in una fiction sui Tudor. Giuditta decapita Oloferne per salvare dall’assedio assiro la biblica città di Betulia; Caravaggio, solo metaforicamente, Medusa, per dipingerla con la sua permanente di serpenti nel noto tondo. Tradotto in lirichese: una serata doppia, barocco più contemporaneo, con “La Giuditta” di Alessandro Scarlatti (oratorio in forma d’opera proposto nella seconda versione, quella rimpicciolita del 1697 detta “di Cambridge” perché il manoscritto sta là) e “Medusa” di Yann Robin in prima italiana. Ma non prima una e dopo l’altra: insieme, un panino dove in mezzo c’è “Giuditta” e alle due estremità “Medusa”. Il tutto ai Rinnovati di Siena, in coproduzione con il Mozarteum di Salisburgo, per “Derive”, il bellissimo cartellone dove l’Accademia Chigiana diventa il festival di sé stessa e dimostra di essere una delle poche istituzioni italiane a essersi accorta che questa delle serate-Frankenstein, un’opera fatta di pezzi di altre opere, una dentro l’altra, scomponendo e ricomponendo la drammaturgia come in un Lego degli effetti e degli affetti, è una delle tendenze del teatro musicale contemporaneo. Ma si sa che, quanto a reattività con quel che succede nel resto del mondo, l’Italia è più o meno all’epoca del primo centrosinistra. Le aperture non sono nemmeno caute: proprio non si fanno.
Naturalmente, questi esprimenti sono sempre stimolanti sulla carta, ma bisogna poi vedere come riescono sulla scena. Medusa/La Giuditta, benissimo, perché l’intera doppia produzione è stata (ri)pensata fin dall’inizio come un tutto unico. E poi se di Scarlatti senior, celebrato (poco) per i trecento anni dalla morte, che fosse un genio “sapevamcelo”, come dice il Panzini, il Robin è una rivelazione. Repetita iuvant: essere un buon musicista è condizione necessaria e non sufficiente per essere un buon operista. Robin certo è un eccellente strumentatore, che da un’orchestra ridotta ottiene sonorità sorprendenti che paiono colossali, e ha un gusto accentuato per una spazialità fatta di ripetizioni quasi ipnotiche. Ma dimostra di essere anche un vero operista perché, primo, sa scrivere per le voci, cioè sa inventare una scrittura vocale che identifica ogni personaggio e, secondo, ha un senso acuto dell’effetto teatrale, spesso ottenuto con feroci ostinati che hanno il pregio, indispensabile in teatro, di “raccontare”. Grazie anche al libretto raffinatissimo (forse troppo) di Elisabeth Gutjhar, la sua “Medusa” coinvolge ed emoziona, insomma “funziona”, per usare un verbo fintamente umile e che invece dovrebbe essere l’obiettivo fondamentale di chi scrive per il teatro.
Lo spettacolo è unico, ma per ovvie ragioni le coppie orchestra-direttore si sdoppiano: quindi l’Ensemble für Neue Musik e Kai Röhrig per Robin, la Mozarteum Baroque Orchestra e Vittorio Ghielmi per Scarlatti, inappuntabili gli uni e gli altri. Fra i cantanti, tutti giovani, le donne al solito cantano meglio degli uomini, e sono anche le uniche a interpretare entrambe le opere. Brave Sveva Pia Laterza che fa la Nutrice di Giuditta e la modella di Caravaggio e Anastasia Fedorenko che è Giuditta e l’Angelus Novus del quadro e in questa veste angelica deve intonare intervalli spaventosi vagamente isterici, un vero ottovolante vocale. Spettacolo fatto di niente ma dove c’è tutto di Florentine Klepper, anche suggestivo nei suoi giochi di luce immersivi, sala inaspettatamente quasi piena e notevole successo. La sera successiva, tutti a spellarsi le mani per il mitico violista Bruno Giuranna che, alla tenera età di 92 anni, suona ancora divinamente insieme a colleghi che potrebbero essere i suoi pronipoti.