A 31 anni Wesley So trionfa ancora alla Sinquefield Cup, sfidando la narrativa dei prodigi adolescenti. La sua storia, intrecciata a quella della madre adottiva, offre uno spunto per riflettere sul ruolo rimosso delle figure materne nel simbolismo scacchistico
Nell’era degli “youngster” scacchistici, dei campioni del mondo diciannovenni, del ringiovanimento del gioco e della sua trasformazione e rifunzionalizzazione in sport (finanche e-sport), Wesley So, all’età di trentun anni, trionfa, per la seconda volta nella sua carriera, in uno dei tornei internazionali più prestigiosi, la Sinquefield Cup. Non ci si aspetti eccessivo stupore tra le fila degli spettatori, agli scacchisti il nome del filippino naturalizzato statunitense non è di certo nuovo. Per anni ha fatto parte della punta di diamante del movimento scacchistico mondiale, arrivando persino a un passo dal primo posto nella classifica Elo, e più di recente ha conquistato il massimo titolo nella variante degli scacchi eterodossi più ortodossa che ci sia (e da lui preferita): il Fischer random, o Freestyle chess. A seguirlo molto da vicino in tutti questi anni di successi, i più attenti lo avranno notato, la madre adottiva Lotis Key, dopo la complessa separazione con la madre biologica Eleonor So.
Gli scacchi sono stati (e purtroppo rimangono) un gioco a prevalenza maschile, sul quale sono spesso rigurgitate metafore riguardo al ruolo del maschio, del re, del padre. Di solito si tratta di semplificazioni spicciole. Ormai, però, sono passati più di settant’anni dal primo tentativo da parte di uno psicanalista (nonché egregio scacchista), Reuben Fine, di servirsi dei simboli dati dai trentadue pezzi per scavare l’animo dell’uomo, prima ancora che del giocatore. Questo tentativo, che trova spazio fra le pagine di “La psicologia del giocatore di scacchi”, è pieno di padri, di riformulazioni del complesso edipico, di simbologia fallica dei pezzi. Le madri, come quella di Wesley, figurano solo nel caso di campioni abbandonati alla follia che cercano disperatamente un nido familiare (è il caso di Paul Morphy), o di campioni appagati dalla vittoria contro l’avversario (simbolicamente: il padre) e che inevitabilmente si riavvicinano al caldo del focolare domestico (è il caso di Capablanca).
In sostanza le figure materne appaiono, quando appaiono, solo in funzione di quelle paterne, proprio come le regine, sulla scacchiera, in funzione dei re. C’è solo un’eccezione: Regina Fischer. La madre del celebre “Bobby” non compare come sostituto del padre assente, compare perché non può non comparire, perché ha peso, e perché per Fischer, per quanto avrebbe detestato ammetterlo, contava. Non c’è bisogno di un Reuben Fine del Ventunesimo secolo per registrare che casi di madri ingombranti come quella di Fischer, o di So, sono sempre più frequenti, e per troppo tempo, illusi dalla mitologia maschile, sono stati ignorati.
La partita: Hikaru Nakamura vs Wesley So, Speed Chess Championship 2020, 0-1
Una delle combinazioni più belle di Wesley. Il Nero in questa posizione ha un sorprendente matto in 4. Riesci a trovarlo?