Gli ebrei e la pietà dell’Europa

Schiavizzare la morale occidentale: Hamas ha capito come si fa e ci sta riuscendo

“Il furioso torrente di menzogne e manipolazioni che emerge da Gaza non dovrebbe sorprendere nessuno, questa è la battaglia di Berlino di Hamas e i terroristi stanno vincendo”. Così scrive Liel Leibovitz, direttore del Tablet americano. “Basta guardare l’immagine di Evyatar David, rapito al festival Nova, accovacciato in un tunnel, emaciato e costretto a scavarsi la fossa. Non è un caso che Hamas abbia sfacciatamente scelto di pubblicare le fotografie degli scheletrici prigionieri ebrei che sta deliberatamente affamando nei suoi tunnel di guerra, dopo una settimana di marketing della sua accusa di sangue su come l’IDF stia affamando la popolazione di Gaza. Se avete mai visto un film sulla mafia, conoscete il trucco. Dopo aver addestrato una nuova recluta per mesi, i mafiosi hanno un’ultima prova: uccidere un tizio, iniettare eroina a una ragazza innocente, fare qualcosa di così palesemente immorale e malvagio da legarti a una vita di crimine per sempre. Una volta oltrepassata la linea netta che porta all’immoralità, di fronte a testimoni, su quali basi ci si opporrà al prossimo ordine del capo? Hamas sta facendo la stessa cosa, con i progressisti occidentali nel ruolo di nuove reclute. Per settimane, il gruppo terroristico ha spacciato fotografie di persone affette da malattie genetiche come prova della crudeltà israeliana; allo stesso tempo, ha impedito che abbondanti aiuti raggiungessero proprio quelle persone dirottando oltre il 90 per cento dei camion umanitari delle Nazioni Unite, vendendo pacchi di aiuti per le famiglie – che entrano a Gaza gratuitamente – a prezzi folli e sparando sulla folla di persone che cercava di accedere agli aiuti forniti da un consorzio umanitario sostenuto dagli Stati Uniti. Nessuna di queste tattiche è nuova. La novità è la sfacciataggine con cui Hamas lo sta facendo, e l’avidità con cui presidenti, giornalisti, intellettuali, attivisti e persino alcuni ebrei europei stanno chiudendo occhi e orecchie e si stanno lasciando trasportare, ripetendo a pappagallo la linea di Hamas come bambini. Qualunque cosa accada a Gaza, la vittoria di Hamas nella guerra per l’opinione pubblica è completa. Ed è esattamente ciò su cui contava Hamas. Non ci vuole una particolare ricerca o una conoscenza approfondita delle condizioni sul campo a Gaza o la conoscenza della letteratura medica sulla fame per sapere che le madri nutrono prima i loro figli. Ecco perché nelle immagini di carestie si vedono madri scheletriche insieme a bambini scheletrici. Non a Gaza. Questo perché lo scopo delle fotografie è quello di fornire agli spettatori una foglia di fico come scusa per abbracciare la narrazione di un’organizzazione terroristica i cui obiettivi sono, di fatto, apertamente genocidi. Hamas fa sembrare la mafia dei chierichetti. La vittoria di Hamas nella guerra per l’opinione pubblica è completa.

Come può un gruppo terroristico che ha combattuto contro uno degli eserciti più potenti del mondo per quasi due anni, dopo aver trasmesso in diretta streaming centinaia di raccapriccianti film e averli pubblicati su YouTube, vincere la guerra? Perché è in ascesa, sostenuto dai leader europei, dal Papa e dai direttori e dagli autori di quasi tutti i giornali, le riviste e le emittenti televisive del pianeta, nonostante il suo piccolo territorio sia stato decimato e molti dei suoi mandanti e dei suoi soldati siano stati eliminati in battaglia? E cosa dire della sconcertante compassione di così tante persone che dovrebbero saperne di più?

La risposta è tanto semplice quanto cruda: Hamas sta vincendo perché ha capito che la storia che le persone educate, istruite e di buon cuore di Tel Aviv, Berlino, New York e Parigi si raccontano sul mondo è una fiaba inconsistente a cui sono irrimediabilmente attaccati, escludendo qualsiasi altra cosa, atrocità evidenti incluse, e che l’unico modo per mantenere viva quella fiaba è negarla. La fiaba è più o meno questa: tutte le persone sono fondamentalmente buone e tutte le culture sono fondamentalmente uguali. Certo, differiscono in modi curiosi e affascinanti, ma condividono una profonda verità umana: ovvero che gli esseri umani non danno valore a nulla più del proprio benessere e di quello dei propri figli. Ma ogni fiaba ha bisogno dei suoi orchi, e così abbiamo quei cattivi che chiamiamo ‘estremisti’. Anche loro hanno molte sfumature. C’è il minaccioso Itamar Ben-Gvir, che vuole sbranare i bambini arabi, o il malvagio Yahya Sinwar e la sua banda di predoni del 7 ottobre. Ma le differenze non contano molto. L’unica cosa da sapere sui cattivi è che ostacolano il sogno comune di pace e prosperità che ci unisce. Ecco perché schierarsi, nel mondo delle fiabe, è un intollerabile atto di pregiudizio. Guardando Israele attraverso questo prisma distorto, emerge un’immagine di una semplicità beata: alcuni orchi palestinesi hanno fatto qualcosa di male, in risposta alla quale gli orchi israeliani hanno fatto qualcosa di peggiore. Per porre fine a questo circolo vizioso di incomprensioni e odio, dobbiamo fermare la guerra (la guerra è cattiva!), impegnarci nella diplomazia (la diplomazia è buona!) e agire al meglio delle nostre capacità per punire gli orchi da entrambe le parti e frenare i loro eccessi. Se solo fornissimo sufficienti dollari di aiuti esteri, il popolo palestinese (buono, nobile e pacifico!) si libererebbe del giogo di Hamas e il popolo israeliano (ben istruito e tecnologicamente competente!) manderebbe a quel paese il brutale Bibi e imparerebbe a vivere in pace con i suoi gentili vicini. E’ una storia stimolante, intrisa dello spirito dell’Illuminismo. Ma è falsa. Lo sappiamo dai resoconti degli ostaggi tenuti prigionieri dai civili. Gli ebrei erano schiavi, costretti a cucinare, pulire e servire intere famiglie, mentre bambini piccoli e donne anziane li deridevano e aggiungevano ulteriore sofferenza. Lo sappiamo dai resoconti del 7 ottobre, che mostrano come la maggior parte dei palestinesi entrati in Israele per saccheggiare, uccidere e stuprare non fossero membri di unità terroristiche addestrate, ma semplici cittadini di Gaza che godevano dell’opportunità di infliggere dolore e sofferenza agli ebrei della porta accanto. L’idea di un’enclave ebraica in terra musulmana – soprattutto una che ha resistito con successo ai suoi assalti per quasi un secolo e che ora controlla una delle sue città più sante, eccellendo al contempo nella scienza, nella tecnologia e nella guerra – è inaccettabile. Gli infedeli devono essere uccisi a qualsiasi costo; nient’altro ha importanza. Questa visione del mondo, ovviamente, colpisce i contemporanei occidentali compassionevoli come incredibilmente grottesca. Mentre ci cullavamo con storie rassicuranti sulla nostra comune umanità, sui nostri insediamenti su Marte e sulla possibile immortalità, grazie alle meraviglie dell’editing genetico e a qualsiasi innovazione tecnologica in arrivo, i nostri nemici continuavano a marciare. Non marciavano solo contro gli ebrei – i canarini nella miniera di carbone – ma anche contro Londra, Parigi, Sydney e Francoforte, esigendo l’acquiescenza a modi di vivere e credenze che un tempo condannavamo come barbariche.

Visitate un parco a Birmingham o Londra, provate a pranzare nel centro di Atene o Malmö, e vi renderete conto che l’Europa sta morendo: le sue popolazioni native, i suoi costumi, le sue religioni e le sue lingue vengono sostituite da persone il cui rapporto con i paesi ospitanti è segnato in modo più netto dal risentimento, misto a disprezzo. Le élite europee terrorizzate, che presiedono a popolazioni in calo e risorse in diminuzione, non conoscono altra via che sottomettersi, giustificando la propria sottomissione con rituali sempre più elaborati di finzione. Israele non ha questo privilegio. Per sopravvivere, ha una sola strada da percorrere. Chiunque abbia un minimo di buon senso che si trovi a dover scegliere tra l’esistenza dello stato di Israele, una democrazia liberale tecnologicamente avanzata nonché principale potenza militare della regione, e i vari principati palestinesi che devono la loro esistenza a enti caritatevoli esterni, dovrebbe avere vita facile nello scegliere quale stato debba essere. Se la tua risposta è la Palestina, allora sei un islamista o un nichilista. In ogni caso, i tuoi valori non sono i miei, soprattutto data la portata degli omicidi che la tua risposta presuppone e il deserto umano che proponi di costruire sul cumulo di ossa che ne deriverà. Israele deve resistere all’enorme pressione che deriverà dalle capitali europee, perché la pressione è proprio il punto. La Gran Bretagna sta già affrontando una rivolta di cittadini infuriati per aver occultato per decenni gli stupri di centinaia di giovani donne indifese da parte di bande di adescatori pakistani, nonché per un tentativo ancora più insidioso di arrestare e mettere a tacere chi sottolinea l’ovvio sui social media.

Quanto più la rivolta anti-israeliana in Europa si fa rumorosa e violenta, tanto più è probabile che costringa l’inconcludente leadership del continente a rendersi conto che la sua politica di accoglienza dei migranti sta per ritorcersi contro di loro in modo molto doloroso. La speranza delle élite europee è che, gettando Israele in mare, si possano comprare forse un altro decennio o due di relativa pace sociale, durante i quali potranno credere a ciò che vogliono sulla natura umana mentre mangiano a palate di Nutella. Credo che queste rassicuranti supposizioni sull’efficacia del sacrificio degli ebrei saranno un errore per loro. In ogni caso, Israele non può farne parte. Morire per le illusioni dell’Europa su come avrebbe potuto comprare la pace con i propri barbari è stato il destino inevitabile degli ebrei europei durante la Seconda Guerra Mondiale, un’esperienza che ha reso chiara la necessità di uno stato ebraico a ogni ebreo consapevole e a ogni occidentale compassionevole o spinto dal senso di colpa sul pianeta. Mi dispiace dire che i barbari del nostro secolo non mostrano segni di essere più amichevoli verso gli ebrei di quanto lo fossero i loro predecessori europei. Per fortuna, avere uno stato significa che gli ebrei non sono più costretti a sacrificarsi per la comodità degli europei, della sinistra globale, dei podcaster americani di destra, del New York Times o di chiunque altro. Ogni altra conseguenza della nostra esistenza nazionale, per quanto brutale o sanguinosa, è dolorosamente insignificante al confronto”.

(traduzione di Giulio Meotti)

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