Bjoern Seibert, il potere forte d’Europa

Non è solo un capo di gabinetto, è il “presidente bis” della Commissione Ue: cervello, penna, tutore di Ursula von der Leyen. Il suo metodo, la verticale del potere, che è anche la chiave del suo successo, comincia però a mostrare qualche limite. Ritratto di un uomo segreto

Il segreto del successo di Ursula von der Leyen si chiama Bjoern Seibert. Il nome è sconosciuto fuori dalle istituzioni dell’Unione europea e dai circoli delle cancellerie internazionali. Eppure è un nome che va ricordato. Meglio ancora se inserito nell’agenda del telefonino. Perché Bjoern Seibert non è solo il capo di gabinetto di Ursula von der Leyen, il funzionario che coordina il suo ufficio e i suoi appuntamenti europei e internazionali. E’ il “presidente bis” della Commissione. E’ un uomo segreto. Ma è soprattutto il cervello, la penna, il tutore di Ursula von der Leyen, che sarebbe persa senza di lui. Seibert è il vero potere all’interno della Commissione, un’istituzione che ha trasformato in profondità con i suoi metodi controversi ed efficaci. Metodi che hanno consentito a von der Leyen di superare le prove del Covid, della guerra della Russia contro l’Ucraina e della crisi energetica che ne è seguita. Anche di ottenere un secondo mandato un anno fa. Ma sono metodi – la verticale del potere – che iniziano a mostrare i loro limiti e a diventare pericolosi per la presidente della Commissione. Amato dalle capitali dei ventisette, Seibert inizia a essere sempre più contestato dentro e fuori dalla Commissione. La proposta di Quadro finanziario pluriennale, il bilancio 2028-34, e i negoziati commerciali con Donald Trump, che si sono conclusi con un accordo svantaggioso e incerto per l’Ue, hanno incrinato l’aura che circonda la coppia von der Leyen-Seibert.

“Stacanovista”, “simpatico”, “molto intelligente”, ma “privo di scrupoli”, “brutale” e “spietato”. Così viene descritto il tedesco Bjoern Seibert da chi ha avuto spesso a che fare con lui. Restio ad apparire in pubblico, mantiene un segreto quasi assoluto sulla sua vita passata e sulla sua vita privata. Nessun account sui social media. Nessun curriculum vitae rintracciabile su Google. Wikipedia gli attribuisce 42 o 43 anni, mentre Politico 45. Si sa che porta sempre scarpe da ginnastica tra blu chiaro (marca Asics, ha dovuto precisare Politico dopo averne pubblicato un ritratto). Si sa che ha una moglie e due figli, una laurea all’Università di Erfurt nell’ex Germania dell’est. Si sa che ha studiato nelle migliori università americane (Fletcher School of Law and Diplomacy, MIT, Georgetown e Harvard) concentrando le sue ricerche nel settore della difesa e della sicurezza. Si sa che è autore di una pubblicazione sulla riforma della Bundeswehr e un’altra sull’Operazione Eufor in Ciad e Repubblica Centrafricana. Si sa che è stato assunto al ministero della Difesa in Germania. Ha iniziato a lavorare con Ursula von der Leyen, quando lei era ministro della Difesa in uno dei governi di Angela Merkel. E con le sue idee e la sua fedeltà l’ha conquistata.

Come capo gabinetto alla Difesa, Bjoern Seibert era stato essenziale per salvare von der Leyen da uno scandalo su un appalto militare che avrebbe potuto rovinarle la carriera. I suoi “non ricordo” durante un’audizione in una commissione parlamentare, tra l’altro sugli scambi via sms cancellati dal telefonino di von der Leyen, sono stati essenziali. La stessa tecnica sarà usata nel Pfizergate, lo scandalo degli sms tra la presidente della Commissione e l’amministratore delegato di Pfizer, Albert Bourla, durante i negoziati sui vaccini Covid. La Commissione non ha mai voluto confermare l’esistenza degli sms, nascondendosi dietro a astruse argomentazioni giuridiche.

Ma non è la fedeltà la chiave del successo di Seibert, e dunque di von der Leyen. Nemmeno la passione per la “geopolitica” che ha dato il nome alla Commissione di Ursula. E’ il suo metodo.

Il metodo Seibert è la verticale del potere. Il capo gabinetto di von der Leyen non solo ha studiato tutte le dimensioni strategiche della difesa, ma “è diventato anche un adepto della mentalità, del metodo e della struttura di comando dei militari”, spiega una fonte che lo conosce personalmente. Segreto, ordini ed esecuzione. Generali, ufficiali, soldati semplici. Dal 2019, con von der Leyen e Seibert, la Commissione funziona così. Al vertice c’è un comitato “militare” ristretto: una piccola squadra di germanofoni che accentra tutte le decisioni, dalle proposte legislative alle redazioni dei discorsi dei commissari, dalle scelte strategiche alle nomine di funzionari di medio livello. Dal 2024, con la conferma della presidente per un secondo mandato, ancora di più grazie al fatto che von der Leyen si è liberata di commissari ingombranti come Thierry Breton e Margrethe Vestager, circondandosi di pesi piuma. I dossier più sensibili sono gestiti direttamente da Seibert e dai suoi (pochi) funzionari di fiducia. Tra i ventisei commissari, ci sono due colonnelli che von der Leyen ha messo alle sue dirette dipendenze per la loro fedeltà a lei e a Seibert: lo slovacco Maros Sefcovic al Commercio e il lettone Valdis Dombrovskis all’Economia.

Quando è arrivato a Bruxelles nel 2019 Bjoern Seibert non conosceva l’Ue e il suo funzionamento, ma è stato subito abile nel manovrare per ottenere la conferma da parte del Parlamento europeo della nomina di Ursula von der Leyen a presidente della Commissione. Appena nove voti di scarto nel luglio di sei anni fa: voti che sono arrivati da partiti populisti (gli italiani del Movimento 5 stelle e i nazionalisti polacchi del PiS) al prezzo di promesse, rassicurazioni e posti. Lo stesso è accaduto nel 2024, quando Seibert ha convinto metà del gruppo dei Verdi a votare per von der Leyen, nominando il loro ex presidentee, Philipe Lambert, come consigliere speciale della presidente per il Green deal. Nel corso degli anni Seibert ha mostrato disinteresse, spesso disprezzo, per il Parlamento europeo. Ma anche per l’istituzione che dirige e i suoi 32 mila funzionari. Il processo interno alla Commissione è diventato da “bottom up” a “top down”. Non è tutta l’istituzione – o tutto il collegio dei commissari – a fare politica e le politiche. E’ la presidente insieme al suo capo gabinetto che decide e ordina a chi deve eseguire.

Seibert non è il primo capo gabinetto di un presidente della Commissione a centralizzare il potere su di sé. Jean-Claude Juncker aveva un altro “uomo forte” al suo fianco: il tedesco Martin Selmayr. Anche lui era uno stacanovista, un abile manovratore, un centralizzatore, un funzionario che sapeva essere al contempo amabile e spietato. Selmayr si era guadagnato diversi soprannomi, compreso “il mostro del Berlaymont”, il principale palazzo della Commissione europea. Ma, a differenza di Seibert, Selmayer era anche un prodotto del Berlaymont: un funzionario che ha fatto tutta la sua carriera (rapidissima) dentro la Commissione, che conosce profondamente l’Ue e i suoi equilibri, che ha un’ampia rete di alleati interna alle istituzioni, e che ha una visione europeista. Seibert no. Ha una visione nazionale dell’Europa, in particolare tedesca. Parla perfettamente inglese, ma è costretto a mettere le cuffie per sentire la traduzione quando qualcuno parla francese. Tuttavia, quella che a Bruxelles appare come una debolezza, è stata trasformata in una forza. Seibert ha ignorato l’Ue per concentrarsi sui rapporti diretti con le capitali.

La Commissione di Ursula von der Leyen non è un’istituzione al servizio degli interessi generali europei. E’ un’istituzione al servizio dei primi ministri degli stati membri. Tutto è organizzato in modo da non creare loro problemi. Nessuna dichiarazione pubblica di critica. Nessun dito puntato. Nessuna procedura di infrazione imbarazzante. E, se proprio si deve lanciare, lo si fa in modo discreto e molto tardi rispetto al calendario ordinario. Von der Leyen è stata confermata dai capi di stato e di governo per un secondo mandato perché “produce risultati”, spiega un ambasciatore di un grande paese. “She delivers”, è una delle espressioni più usate dai diplomatici. Quando un leader chiama per risolvere un problema, lei risponde e fa. Giorgia Meloni vuole firmare un accordo con la Tunisia per fermare le partenze dei migranti? Von der Leyen vola con lei a Tunisi. L’Italia ha bisogno della benedizione europea per i centri in Albania? La Commissione improvvisa un’interpretazione delle regole che permette di togliere Roma dall’imbarazzo.

Il più delle volte, non sono i leader a chiamare direttamente Ursula von der Leyen. Sono i loro capi di gabinetto, sherpa e consiglieri diplomatici. E’ con loro che Bjoern Seibert ha costruito (e costruisce ogni volta che cambia un presidente o un primo ministro) una rapporto stretto di fiducia, perfino di amicizia. Loro ammirano e lodano Seibert. “Bjoern è una persona molto intelligente, un grande manager e un negoziatore estremamente abile. Non si lascia trascinare dall’ideologia, dai pregiudizi nazionali o dalle questioni personali”, ha spiegato Diego Rubio, il capo gabinetto del premier spagnolo, Pedro Sánchez. “E’ un perfetto attore pragmatico. Razionale e ragionevole. Inoltre, con me è sempre stato onesto e ha mantenuto la sua parola”. Diversi sherpa e consiglieri diplomatici confermano che Seibert “è sempre disponibile” e “molto d’aiuto quando c’è bisogno”.

L’italiana Elisabetta Belloni è un altro sherpa che aveva subito il fascino di Bjoern Seibert. Si sono conosciuti quando lei, direttrice generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, lavorava al fianco di Giorgia Meloni, hanno intensificato i rapporti durante la presidenza italiana del G7. Appena conclusa, von der Leyen ha offerto a Belloni di diventare la sua consigliera diplomatica. Ma la realtà vista da Bruxelles è molto diversa da quella vista dalla propria capitale. Nominata a gennaio, Belloni ha resistito solo sei mesi al metodo Seibert. Marginalizzata nella gestione dei dossier internazionali più importanti, Belloni ha deciso di abbandonare la Commissione e tornare a Roma a causa dei conflitti con il capo gabinetto della presidente.

La verticale del potere e la segretezza servono a proteggere Ursula von der Leyen e la sua immagine: è uno dei compiti di Seibert. Il controllo è essenziale. Quando la nuova Commissione è stata approvata lo scorso novembre, i commissari sono stati costretti a inviare i nomi di tutti i membri dei loro gabinetti per ottenere il via libera di Seibert. Uno a uno. Ci sono voluti tre mesi. Tutta l’informazione della Commissione è controllata e irreggimentata, attorno a quattro o cinque persone di fiducia. I portavoce settoriali della Commissione spesso non sono a conoscenza delle decisioni che vengono prese. I media più influenti – quelli che vengono letti nelle capitali nazionali, come Bloomberg o il Financial Times – hanno un rapporto diretto con Seibert perché Seibert li usa per testare le reazioni di governi e leader. Oltre che “proteggere Ursula”, Seibert ne è la mente, il braccio e la penna. Seibert è “indispensabile” alla presidente, spiega una fonte. Ursula von der Leyen ama i grandi incontri internazionali, ma “senza di lui è persa”. “E’ il suo cervello”, racconta un ex commissario europeo.

L’aspettativa presa per organizzare la campagna elettorale di von der Leyen. Le raccomandazioni di Draghi poco recepite. La strategia sui dazi e i negoziati con Trump sempre più contestata. La stesura non condivisa del bilancio 2028-34

Tutti sono rimasti sorpresi quando von der Leyen, designata Spitzenkandidat (capolista) del Ppe per candidarsi a un secondo mandato, ha deciso di portarsi in campagna elettorale Seibert. C’era la guerra della Russia contro l’Ucraina. C’era il problema dell’Inflation Reduction Act americano. Ma Seibert ha preso due mesi di aspettativa non retribuita per trasferirsi negli uffici del Ppe e organizzare la campagna elettorale, scrivere i discorsi, immaginare la strategia per il dopo voto. L’attività della Commissione è rimasta di fatto sospesa non solo per due mesi, ma fino alla conferma del nuovo collegio in novembre. Il giorno dopo le elezioni europee, Seibert ha ripreso subito le redini della Commissione, aiutando la presidente a convincere i capi di stato e di governo a nominarla per un secondo mandato e i deputati al Parlamento europeo a votare a favore della sua investitura. “Seibert vuole controllare tutto. Non delega nulla, il che crea problemi quando è assente per seguire la presidente”, è il commento di un altro ex commissario.

E’ uno dei difetti della verticale del potere della coppia von der Leyen-Seibert. Un uomo solo non può fare tutto da solo dentro la Commissione, la principale istituzione dell’Ue. Mario Draghi ha pubblicato il suo rapporto nel settembre del 2024. Von der Leyen ha promesso di farne la sua “bussola” per il secondo mandato. Dieci mesi dopo, a parte i pacchetti “Omnibus” di semplificazione, la Commissione ha recepito molto poco delle raccomandazioni di Draghi, che a ogni discorso lamenta la mancanza d’azione dell’esecutivo comunitario. “Fate qualcosa”, è sbottato Draghi lo scorso febbraio. Non sono solo le decisioni di politica pubblica a subire ritardi. L’organigramma della Commissione è pieno di buchi nei posti più elevati e intermedi dell’amministrazione, perché Seibert vuole scegliere solo funzionari di cui si fida. Non ce ne sono molti. Nella sua logica, direttori generali, vice direttori generali, direttori e capi unità hanno un’importanza relativa. Devono eseguire. E’ lui a decidere.

I limiti della verticale del potere iniziano tuttavia a emergere su due temi scottanti: i negoziati con Donald Trump sui dazi e il bilancio 2028-34 dell’Ue. Grande ammiratore degli Stati Uniti, atlantista, Seibert aveva coltivato i rapporti con l’Amministrazione Biden, stringendo un’amicizia molto stretta con il consigliere alla Sicurezza nazionale, Jake Sullivan. I due non solo si parlavano quasi quotidianamente, ma hanno anche pubblicato comunicati stampa e dichiarazioni comuni. Ma la “eredità Biden” di von der Leyen pesa come un macigno nei rapporti con Donald Trump. L’attuale presidente non le perdona le critiche virulente per l’assalto al Campidoglio, né il sostegno aperto prima a Biden e poi a Kamala Harris in campagna elettorale. La porta della Casa Bianca è rimasta a lungo chiusa per Ursula. Quando è stato inviato in missione di pace a Washington, Seibert è stato costretto a incontrare funzionari della nuova amministrazione di livello molto più basso di Sullivan.

Anche la strategia sui dazi scelta da von der Leyen e Seibert, e portata avanti dal commissario Maros Sefcovic, è sempre più contestata. La presidente non ha mai voluto rischiare un viaggio a Washington senza la garanzia di un accordo da firmare. Troppa paura di subire lo stesso trattamento di Volodymyr Zelensky nello studio ovale della Casa Bianca. La Commissione ha adottato una linea remissiva, nella speranza di arrivare a un accordo che limiti i danni per le economie dell’Ue. Era la linea difesa da Germania e Italia, che temono le conseguenze di un’escalation. Meglio un dazio del 10 per cento che un dazio del 20 per cento. Ma la strategia remissiva non ha prodotto risultati. Al contrario. La decisione di Trump di minacciare dazi del 30 per cento dal primo agosto era stata accolta con grande sorpresa dalla Commissione, convinta di essere vicina a un accordo. La Francia di Emmanuel Macron, aveva mostrato tutta la sua irritazione, chiedendo a Ursula von der Leyen di “cambiare metodo” ed entrare in “un rapporto di forza” nei negoziati con Trump, minacciando di usare lo strumento anti coercizione per colpire i servizi americani. Alla fine Trump ha imposto dazi del 15 per cento, esigendo dazi zero dall’Ue. Von der Leyen ha giustificato l’accordo sostenendo che porterà stabilità e prevedibilità. Ma a fine agosto Trump ha minacciato nuovi dazi per la regolamentazione digitale dell’Ue. “La posta è molto alta per von der Leyen”, spiega un diplomatico: “Se fallisce sui dazi, il suo secondo mandato è compromesso”.

Il secondo mandato è in gioco anche sul nuovo Quadro finanziario pluriennale. La proposta di un bilancio 2028-34 da 2 trilioni di euro è stata preparata e gestita da un gruppo ristretto di persone, tutti fedelissimi di von der Leyen, nel più grande segreto. Normalmente, in passato, si trattava di un lavoro collettivo dei 32 mila funzionari della Commissione, una delle amministrazioni pubbliche di più alta qualità al mondo. La preparazione durava quasi un anno, con consultazioni interne ed esterne sia a livello tecnico, sia a livello politico, per anticipare e risolvere conflitti e arrivare a una proposta ambiziosa ma equilibrata. Con Seibert tutto è cambiato. Il nuovo Qfp è stato preparato da lui e dalla direttrice generale per il Bilancio, Stéphanie Riso, che era stata la vice di Seibert durante il primo mandato, insieme alla segretaria generale Ilze Juhansone e la direttrice generale per le Riforme Celine Gauer.

Il metodo usato per il nuovo bilancio è sempre legato alla sicurezza nazionale: la compartimentazione, cioè la pratica di limitare l’accesso alle informazioni a specifici individui o gruppi, in modo che solo chi ha una “necessità di sapere” possa accedere a determinati dati o operazioni. Le direzioni generali sono state consultate solo sui testi relativi al loro ambito di competenza. Alcuni dei più alti funzionari della Commissione – direttori, vice direttori generali e direttori – non hanno potuto vedere o lavorare sulla proposta nel suo complesso fino a pochi giorni prima della sua presentazione. Seibert ha “escluso un pezzo enorme delle competenze della Commissione europea, che è una delle funzioni pubbliche più preparate al mondo”, spiega un funzionario. Molti commissari, compresi vicepresidenti, hanno potuto vedere l’insieme della proposta solo cinque giorni prima dell’adozione. A direzioni generali e membri del collegio sono state date dalle 24 alle 48 ore per reagire. Secondo diverse fonti, alcuni commissari hanno scoperto le cifre finali del bilancio e dei suoi capitoli dieci minuti prima della riunione del collegio.

Alcuni commissari si sono ribellati, opponendosi ad alcune proposte e ritardando l’adozione del nuovo Quadro finanziario pluriennale. La riunione della Commissione è iniziata con tre ore di ritardo a causa delle divergenze durante le riunioni preparatorie tra i capi di gabinetto dei commissari. Il commissario al Bilancio, Piotr Serafin, ha fatto attendere tre ore i deputati europei, che volevano dibattere con lui della proposta. Nell’audizione Serafin è apparso incerto e confuso su cifre e funzionamento delle nuove disposizioni. In conferenza stampa, il vicepresidente italiano Raffaele Fitto, responsabile della Coesione, ha auspicato che la proposta venga “migliorata” nei negoziati con il Parlamento europeo e i governi.

Fuori dalla Commissione il rigetto è ancora più forte. “Data l’importanza del dossier, questa forma di cooperazione interistituzionale è insoddisfacente”, si è lamentato il deputato rumeno del Ppe, Siegfried Muresan, relatore del Parlamento europeo sul Quadro finanziario pluriennale. “Questo importante fascicolo deve essere trattato con attenzione, ben preparato, in modo inclusivo e trasparente”, ha aggiunto Muresan. La presidente del Comitato delle regioni, Kata Tütto, ha denunciato la “segretezza del processo”. Perfino il governo di Friederich Merz ha bocciato la proposta di von der Leyen, perché i 2 trilioni di euro sono una cifra troppo alta.

Finora Seibert è sempre riuscito a salvare von der Leyen. Grandi o piccoli scandali sono stati superati con l’omertà o marce indietro all’ultimo momento. Una concessione in più alla Francia sul Mercosur può calmare le ire di Parigi per la linea morbida con Trump. Passata l’estate il dibattito sul Quadro finanziario pluriennale potrebbe calmarsi e le polemiche su come è stata preparata la proposta saranno dimenticate. Come in una dittatura, la verticale del potere nell’Ue può dare l’impressione di efficienza, efficacia, rapidità, al punto da essere una storia infrangibile di successo. Come quella di Seibert. Ma, come nei regimi non democratici, quando si supera un limite, basta poco perché l’apparenza di successo si trasformi in caduta.

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