La direttrice del Centers for Disease Control and Prevention è stata convocata da Robert Kennedy Jr. e invitata a dimettersi. Lei ha rifiutato. Poi è intervenuta la Casa Bianca. Così si piega la sanità pubblica al furore ideologico: uno smantellamento sistematico
La destituzione di Susan Monarez dalla guida dei Centers for Disease Control and Prevention non è un normale avvicendamento. È l’atto conclusivo di una sequenza di forzature che mostra in chiaro un progetto: piegare l’istituzione centrale della sanità pubblica statunitense a un’agenda ideologica, sostituendo metodo e prove con fedeltà politica. Monarez, ricercatrice di malattie infettive, era stata insediata appena un mese fa e — fatto inedito per il C.D.C. — confermata dal Senato. Proprio questo dettaglio illumina l’episodio: il segretario alla Salute Robert F. Kennedy Jr. l’ha convocata, le ha intimato le dimissioni e poi le ha chiesto di decapitare la leadership dell’agenzia; di fronte al rifiuto, l’ha accusata di essere una “goleadora” e ha annunciato che sarebbe stata licenziata. Non ne aveva, con ogni probabilità, l’autorità.
La Casa Bianca è intervenuta in serata, e il portavoce del presidente ha comunicato via email la rimozione, giustificandola con l’asserita “non allineamento” della direttrice con l’agenda presidenziale. I legali di Monarez hanno definito la vicenda per quello che è: la spia di un disegno più ampio, lo smantellamento sistematico delle istituzioni di sanità pubblica, il silenziamento degli esperti, la politicizzazione della scienza.
La prova materiale di quel disegno è arrivata poche ore dopo, con le dimissioni in blocco di quattro figure chiave del C.D.C.: Debra Houry, capo dei servizi medici; Demetre Daskalakis, responsabile delle raccomandazioni vaccinali; Daniel Jernigan, a capo del centro per la sicurezza dei vaccini; Jennifer Layden, alla guida dei dati di sanità pubblica. Non sono nomi qualsiasi: tra di loro ci sono i protagonisti della risposta ad antrace, influenza suina, Covid, mpox, della costruzione dell’unità strategica per la scienza sul Covid e del programma sugli oppioidi. Se questi professionisti lasciano perché l’ambiente è divenuto “intollerabile” e “arma la sanità pubblica”, non siamo davanti a una disputa di indirizzo: siamo davanti a un cantiere di demolizione. Ex direttori del C.D.C. — gente che ha eradicato il vaiolo — hanno avvertito che indebolire l’agenzia ci rende meno sicuri e più vulnerabili. Non è retorica: è una valutazione operativa sulla tenuta del sistema di allerta, risposta e prevenzione.
Il contesto è ancora più grave. Nelle scorse settimane, mentre la morale interna crollava, il segretario ha ridotto organici e finanziamenti, ha eliminato funzioni centrali dell’agenzia e ha preteso che i piani della direttrice passassero al vaglio di capi di gabinetto, in un assetto “insolito” che di tecnico ha ben poco. In parallelo, ha epurato membri del comitato vaccini per sostituirli con oppositori delle politiche di immunizzazione e ha permesso che la guida di un sottocomitato sulla sicurezza dei vaccini andasse a un attivista notoriamente contrario ai richiami aggiornati. Non si tratta di “pluralismo”: è l’occupazione dei gangli consultivi che dovrebbero filtrare le decisioni attraverso dati, metodi e valutazioni di rischio/beneficio. A fare da sfondo, persino la coincidenza con nuove restrizioni della F.D.A. sugli aggiornamenti vaccinali stagionali — coincidenza che, in tempi normali, richiederebbe coordinamento e messaggi chiari; qui si produce soltanto rumore e sfiducia.
Sul piano della sicurezza fisica, il quadro è diventato cupo. Un uomo armato, furioso per i vaccini Covid, ha sparato contro la sede di Atlanta, ha ucciso un poliziotto e traumatizzato i dipendenti, frantumando persino vetri antiproiettile. I dirigenti interni hanno chiesto alla direttrice di parlare subito al personale, di riconoscere la natura dell’attacco e di presentare un piano per la protezione. È significativo che l’attenzione politica sia arrivata tardi e male, mentre dipendenti dell’H.H.S. imploravano pubblicamente il segretario di smetterla di diffondere informazioni inaccurate. Quando parole e insinuazioni sull’inutilità o pericolosità dei vaccini circolano dal vertice della sanità pubblica, quelle parole non sono neutrali: concorrono a creare il clima in cui un fanatico pensa di poter sparare contro chi lavora per prevenire epidemie. Chi ha guidato l’eradicazione del vaiolo ha scritto che certe parole possono essere letali quanto il virus. La frase è dura, ma fotografa il nesso tra retorica irresponsabile e rischio concreto per la vita delle persone e delle istituzioni.
C’è poi un capitolo che riguarda l’integrità della ricerca sui vaccini. Da settimane, il C.D.C. subisce pressioni per aprire il Vaccine Safety Datalink — un patrimonio di dati condiviso con grandi sistemi sanitari — a un gruppo esterno guidato da David Geier, ricercatore ampiamente screditato, che negli anni ha prodotto lavori su presunti legami tra vaccini e autismo. Il segretario, in riunione di gabinetto, è arrivato a suggerire che a breve avremo “una risposta preliminare” sulle cause dell’autismo e che “interventi” quasi certamente responsabili saranno affrontati a settembre. Questa non è la promessa di un’indagine rigorosa: è l’annuncio del verdetto prima di aver impostato il protocollo. Quando l’accesso ai dati viene piegato per confermare convinzioni preesistenti, non stiamo “aprendo” la scienza, la stiamo degradando a contesa di potere. Il metodo scientifico pretende ipotesi chiaramente formulate, disegni di studio replicabili, definizioni operative, analisi pre-registrate, controllo dei bias, revisione indipendente: tutto ciò che qui si tenta di eludere accelerando un percorso che ha già la conclusione in tasca.
Che il nodo sia politico e non tecnico lo dimostra l’ordine impartito a Monarez di licenziare in blocco la squadra dirigente: non una correzione di rotta motivata da errori, ma una purga per conquista di posizioni. La replica della Casa Bianca, che sancisce la destituzione quando l’H.H.S. l’aveva già data per fatta sui social, completa il quadro di un conflitto ai piani alti che travolge la catena di comando. È un segnale devastante per chi lavora sul campo: si comunica che la protezione istituzionale dipende dalla sottomissione, non dalla competenza; che i processi contano meno delle appartenenze; che il dubbio scientifico viene sostituito dalla certezza ideologica. In uno scenario del genere, i migliori se ne vanno e restano i fedeli. E quando i migliori se ne vanno da un’agenzia che deve individuare focolai, tracciare varianti, consigliare campagne vaccinali, proteggere i fragili, i costi non si pagano in reputazione ma in vite.
Si può discutere all’infinito se l’obiettivo sia la resa dei conti con chi ha gestito la pandemia, la vendetta contro una “scienza dominante” immaginaria o il calcolo di un dividendo politico presso minoranze rumorose. Resta la realtà testuale delle decisioni: si licenzia una direttrice confermata dal Senato perché non esegue ordini politicamente utili; si svuotano gli organi consultivi e si nominano oppositori delle immunizzazioni; si riducono fondi e personale proprio mentre ci si avvicina alla stagione respiratoria; si tenta di forzare l’accesso a un database di sicurezza per resuscitare un teorema smentito da anni di studi. Non è un errore di comunicazione: è una strategia. E una strategia così ha una conseguenza chiarissima. Se indebolisci l’anello più importante della prevenzione, abbassi l’asticella della sorveglianza, confondi il pubblico su ciò che protegge davvero e metti in fuga chi sa come si gestiscono le crisi, non stai “ribilanciando il dibattito”. Stai aprendo la porta alla prossima ondata evitabile.
Per questo la condanna deve essere netta. Non è in gioco la sensibilità di parte, ma la capacità di un paese di distinguere tra politica sanitaria e propaganda, tra revisione critica e demolizione, tra trasparenza e intimidazione. Chi ha responsabilità di governo e chi siede nelle posizioni di garanzia dovrebbe dirlo senza mezzi termini: il C.D.C. non è un trofeo di partito; i dataset di sicurezza non sono caveau da scassinare per fabbricare certezze; il credito scientifico non è moneta per nominare amici e punire dissenzienti. Ogni giorno in più in questo regime di pressione e di paura è un giorno in meno di protezione per i cittadini. È così che cominciano i periodi bui della sanità pubblica: non con grandi proclami, ma con email serali, sostituzioni mirate, fughe di competenze, insinuazioni ripetute finché il dubbio si fa normalità. L’età dei patogeni comincia. E attenzione: ciò che accade negli USA, finora il bastione della ricerca mondiale contro le epidemie, si ripercuoterà in tutto il mondo.