Nel giugno del 1997 Salvatore Ferraro fu arrestato e si fece sedici mesi di prigione da presunto innocente. Vi propongo un passo dal suo raccontino “La leggenda della nascita del carcere”, che si legge nel suo memoriale
Michel Foucault ci ha abituati a considerare l’istituzione delle prigioni moderne come il compimento dell’Illuminismo, la conseguente incarnazione della sua logica disciplinare, ma siamo certi che sia così? Esiste una versione apocrifa della storia, che dobbiamo al lampo di chiaroveggenza di un detenuto-filosofo. Nel giugno del 1997 Salvatore Ferraro fu arrestato con l’accusa di favoreggiamento nell’omicidio della studentessa Marta Russo. Si fece sedici mesi di prigione da presunto innocente (e non solo presunto, per quanto mi riguarda). In cella stese la traccia di un raccontino, “La leggenda della nascita del carcere”, che si legge nel suo memoriale Il dito contro (Avagliano editore, 2001). Nauseati dalla pena di morte, dalle torture e dall’antico splendore dei supplizi, i giuristi e i filosofi dei Lumi devono decidere cosa fare dei condannati. Isolarli è inutile, curarli impossibile, riavvicinarli per gradi alla società è macchinoso. Insomma, un bel rompicapo.
“‘Signori, vi va un caffè?’ chiese all’improvviso il professor Calembour, l’esimio. ‘Certo che ci va’, risposero in coro. ‘Qui vicino c’è un bar che lo fa veramente ottimo, vogliamo andare?’. ‘Ma i condannati? I condannati sono qui che aspettano una nostra decisione’. ‘Beh, per ora chiudeteli in uno stanzino. Al nostro rientro vedremo cosa farne!’. La congrega illuminata non ritornò. I condannati rimasero chiusi per sempre nello stanzino”. Ecco, se anziché il coronamento della grande opera dell’Illuminismo il carcere fosse la sua interminabile pausa caffè? Un punto cieco della ragione, una tenace macchia di assurdità nel mondo rischiarato, una disattenzione che dura da troppi secoli? Per parte mia, non riesco più a pensare alla storica rivista dei fratelli Verri e degli illuministi lombardi, “Il Caffè”, senza ricordarmi di quel raccontino di poche pretese di Salvatore Ferraro. E aspetto – con deboli speranze ormai – che giuristi e filosofi rientrino dal bar.